lunedì 29 settembre 2008




Dicon che fingo o mento
quanto io scrivo. No:
semplicemente sento
con l'immaginazione,
non uso il sentimento.

Quanto traverso o sogno,
quanto finisce o manco
è come una terrazza
che dà su un'altra cosa.
É questa cosa che è bella.

Così, scrivo in mezzo
a quanto vicino non è:
libero dal mio laccio,
sincero di quel che non è.
Sentire? Senta chi legge.

(Questo, Fernando Pessoa)

venerdì 19 settembre 2008

e pure io dico la mia....

Su facebook ci sono finita diverso tempo fa, molto prima di diventare farlocca sul web (nella vita già lo ero da un pezzo). Mi ci invitò mio fratello, c'era pure l'ex che ogni tanto lo usava e ci finii pure io. Aprii il mio account con il mio nome e cognome da carta d'indentità, niente eteronimi, pseudonimi o alias. Così ho ritrovato anch'io (come MMax) gente di cui avevo perso ogni traccia dall'adolescenza o da prima, il passato remoto rifiltrato dal web mi è ritornato addosso. Il che va molto bene dato che trattasi di passato non sempre gradevole, così sfumato dalla rete, spersonalizzato fa abbastanza piacere rivederlo, in realtà preferisco di gran lunga il presente alla mia adolescenza.
Sono un utente noiosissimo di facebook, al pari di rose (condivido totalmente il titolo), aggiorno poco e sopratutto dico poco. Infatti non è che proprio voglia comunicare a tutti e con la mia faccia in primo piano, tutto quello che mi passa per la testa. Dire quello che mi pare o quasi, lo posso fare qui, il mio essere farlocca mi regala la libertà. L'orrore della sovraesposizione, dell'essere sempre visibile-rintracciabile-conoscibile, mi è apparso in tutta la sua enormità proprio essendo lì. Tanto per peggiorare, ho anche un lavoro nel quale mi si richiede una faccia "pubblica", una sorta di ruolo sociale, quindi un minimo di "faccia da salvare" ce l'ho. Certo non sono una che si fa tanti problemi neanche sul lavoro (spesso mi considerano la marziana di turno), ma alcune cose proprio non le voglio comunicare nel mio contesto pubblico (sopratutto quando dico le mie amate cazzate).

Morale: la vera libertà te la dà l'anonimato.

martedì 16 settembre 2008

Il tramezzino


Immagine da qui

Qualche tempo fa mi è stata data una bella rappresentazione dei concetti di partecipazione e coinvolgimento.

"Hai presente il tramezzino uova e salame, o quello uova e wurstel?"
"Sì, certo, buoni..."
"Bene all'evento tramezzino la gallina partecipa, il maiale è coinvolto."

La differenza ad alcuni sembra poco evidente, altri la afferrano al volo, tutti però arrivano a capire che è una differenza essenziale. La gallina resta, può continuare a produrre uova, ad alimentare il mondo, il maiale, per quanto non se ne butti via nulla, ha finito di nutrire. Per altri la lettura è più autoreferenziale, la vedono in chiave di autoconservazione e non di "fornitura di servizio". Io la vedo in entrambe le chiavi.
Come già detto l'accudimento di qualcuno in necessità è parte rilevante della mia vita, in questo contesto, l'essere la gallina e non il maiale diventa fondamentale. Sia in termini di autoconservazione che in termini di fornitura di servizio.
Esistono però altri contesti nei quali l'essere gallina o maiale è piuttosto rilevante. La prima cosa che viene in mente, sopratutto a chi ha fatto parte del club dei cuori infranti (per inciso ho stracciato la tessera anch'io) sono le relazioni di coppia. Chi mi proponeva la metafora si vuole porre come gallina dato che anche lui ha fatto la parte del maiale almeno una volta in vita sua (io quasi sempre, se no non sarei farlocca).
Ma è davvero possibile partecipare e non coinvolgersi in una relazione affettiva?
Qui bisogna fermarsi un attimo e definire un po' meglio cosa siano partecipazione e coinvolgimento. Parlando con alcuni amici, in questo contesto, la prima assume un connotato negativo, un rimanere freddi e distaccati e quindi un essere fuori dalla relazione, mentre il secondo è visto in modo molto positivo e sostanzialmente necessario all'esistenza stessa della coppia. Per qualcun'altro la partecipazione è caratterizzata dal rimanere in controllo, non perdersi ma essere colui o colei che guida.
Secondo me abbiamo torto tutti.
Innanzitutto il controllo è una mera illusione e il distacco non esclude automaticamente l'amore. Troppo spesso viviamo le relazioni di coppia come un nostro sogno nel quale l'altro deve partecipare e deve farlo secondo le nostre modalità. Quando poi l'altro, di cui ci eravamo sostanzialmente dimenticati, si ribella, la cosa ci distrugge perchè distrugge il nostro sogno. Inoltre, se ci pensiamo un momento, ci coinvolgiamo, nel senso di diventare maiali, quando ci affidiamo affettivamente come un bambino si affida ai genitori: senza strumenti e senza lucidità. Se però abbiamo superato i 30 (e qui lo abbiamo fatto da un pezzo), all'ennesima scarpata in faccia, magari guardando il set di spazzole che è stato fatto con le nostre setole, forse dobbiamo cominciare ad accettare che ogni cosa ha un inizio, una durata e una fine. Se riusciamo ad immergerci in questo andare della vita naturale, siamo delle ottime galline, produciamo bellissime uova con grande soddisfazione nostra e di chi le mangia.

martedì 9 settembre 2008

D-day


foto da Wikipedia
Dalle mie parti abbiamo avuto un D-day tutto speciale: il cambio di casa di una persona infinitamente fragile. Un trasloco travolge chi è stabile e in forze, rischia di distruggere chi è fragile. Eppure c'è modo di evitare la distruzione, in fondo basta affrontare il probabile disastro in gruppo, un gruppo però che sia affettivamente disponibile, che porti allegria, supporto e speranza a chi è a rischio. Ce l'abbiamo fatta fin qui. Lei è stata bravissima. Ora speriamo nel futuro, incrociamo le dita e cerchiamo di darle il massimo supporto possibile.
Naturalmente la commedia e non la tragedia è stata protagonista. Alle 8 del mattina le truppe avanzate erano in posizione, lei, la traslocanda, ormai era preda della più totale angoscia, mentre mobili e scatoloni prendevano la via della nuova casa, il terrore si andava impadronendo di tutti. Il passaggio al nuovo quartiere, l'ignoto... tutto sembrava generare mostri tentacolari che ghermivano i convenuti. Poi piano, piano, gli oggetti hanno cominciato a popolare la nuova casa, le truppe sono arrivate e un vago sorriso a lasciato il posto all'angoscia.
Momenti di puro caos primigenio hanno accompagnato l'organizzazione della nuova casa, con chi metteva a posto scordandosi dopo due minuti dove, a volte anche cosa, ma si sforzava comunque di farlo. Con altri che tentavano di montare il mobiletto (c'è ne è sempre uno) di Ikea, secondo le chiarissime istruzioni, chiamando a raccolta l'intera truppa per un simposio sul concetto di mobiletto e della sua medesima essenza. Altri, per fortuna, mi regalavano ilarità via sms, altri hanno pensato a noi, hanno sperato con noi e ringraziamo anche loro.

Per il futuro, a ricordo di questo nostro D-day, mi/ci lascio le parole di F. Pessoa da il violinista pazzo

Tuttavia, quando la tristezza di vivere,
poiché la vita non è voluta,
ritorna nell' ora dei sogni,
col senso della sua freddezza,

improvvisamente ciascuno ricorda -
risplendente come la luna nuova
dove il sogno-vita diventa cenere -
la melodia del violinista pazzo.

lunedì 1 settembre 2008

Accudimento e batterie

dall'amaca in puglia
Una delle regole d'oro dell'accudimento è: essere sempre il più possibile in forma. Mi spiego, se devo occuparmi di qualcuno in grave necessità, non posso farlo correttamente se il mio stato d'animo e le mie energie fisiche sono a terra. Devo essere in forma così da contribuire positivamente al benessere dell'altro, insomma devo trovare quotidianamente un modo per ricaricare le batterie dell'anima.
La mia estate è stata fortemente caratterizzata dall'accudimento familiare, come da post precedente si capisce che nella mia famiglia c'è chi ha davvero bisogno di una mano. A mie spese ho imparato, nel tempo, che la regola d'oro ora enunciata è fondamentale, sopratutto se si ha a che fare con persone mentalmente instabili. Il malato "mentale", per usare una definizione che non mi piace, è spesso, quasi sempre, dotato di una capacità empatica mostruosa ed è quindi fortemente influenzato dallo stato di chi gli è vicino. Un momento di disperazione di chi assiste, sopratutto se prolungato, può provocare una reazione al limite dello psicotico nel malato.
Allora non è egoismo, non ci deve essere senso di colpa (chi sa intende), se chi assiste si organizza e se la squaglia per qualche giorno. Se poi, come nel mo caso, si ha la fortuna sfacciata di avere amici/che eccezionali, sia in loco per seratine edificanti, che in luoghi più che ameni, bisogna, si deve, schifosamente approfittarne per il bene dell'intera comunità. D'altra parte , quest'anno, ciascuno aveva i suoi di accudimenti e così tu ricarica me che io ricarico te.... Grazie, grazie!!!


a mollo nello jonio