Pochi giorni fa passavo sotto questo ponte. Si sa, New York è come una calamita per me, vado negli States non importa a far cosa, ma lì ci devo passare. Devo percorrere le strade di Manhattan, a far nulla, a guardare, a pensare e a sognare, devo se no il viaggio è incompleto. Così anche se avevo da fare, ad un certo punto, ci sono andata. Mi sono lasciata abbracciare da una giornata di quelle straordinarie, da un cielo terso e blu, dalla folla per le strade, dalla parata del Saint Patrick Day, dalla bellezza kitsch e assurda del giorno in cui tutti sono irlandesi. Il giorno in cui tutti indossano qualcosa di verde, magari degli shorts-bordo-culo, su di un culo da un quintale, magari anche nero, con su scritto "Kiss Me, I'm Irish", o una parrucca di prestigiosi boccoli verde marziano, con sotto un ragazzino di 15 anni ubriaco che se lo ricorderà pure a 90 anni come stava il giorno dopo. E che dire delle cornamuse? e io che pensavo fossero solo scozzesi... ma a San Patrizio si suonano uguale.
A parte la parata, il casino e gli ubriachi, la città era meravigliosa, ho camminato quasi sei ore ininterrottamente, vagato per strade e parchi, ho alimentato l'anima e gli occhi con le prime gemme di primavera sui rami di Central Park, insomma mi sono fatta un regalo da regina.
Poi torni a lavorare e arriva un venerdì sera e il regalo me lo hanno fatto gli amici: serata newyorchese con tutto quel che ci vuole. Dopo tutto il sabato risali sull'aereo, bisogna fare le cose per bene e salutare degnamente il nuovo mondo prima di tornare al vecchio. Così cena, teatro e cognac dopo teatro, compagnia speciale e poi, si riparte alla volta del patrio suolo.
Stavolta, ve lo confesso, sull'aereo mi è venuto da piangere. L'aria statunitense è piena di speranza, di vita che risale, di gente che fa e vuol fare. Tornare qui dopo quasi un mese di quell'aria fa sentire tutto il peso di quel che ci aspetta, della fatica presente in ogni cosa, se, anche noi vogliamo, un giorno di questi tornare a sperare.
Così oggi sono qui, sono tornata al lavoro, anche domani tocca, e la notte è lunga e il sonno non viene. Il mio fuso interno è ancora là, ci mette sempre un po' a mollare la presa. Guardo fuori dalla finestra, vedo la città, l'altro grande amore mio, Roma. E' bello andare da un amore all'altro, da lì a qui, da un gran casino di cemento ad uno di mattoni rossi. E' bello tornare a casa, vero?
A parte la parata, il casino e gli ubriachi, la città era meravigliosa, ho camminato quasi sei ore ininterrottamente, vagato per strade e parchi, ho alimentato l'anima e gli occhi con le prime gemme di primavera sui rami di Central Park, insomma mi sono fatta un regalo da regina.
Poi torni a lavorare e arriva un venerdì sera e il regalo me lo hanno fatto gli amici: serata newyorchese con tutto quel che ci vuole. Dopo tutto il sabato risali sull'aereo, bisogna fare le cose per bene e salutare degnamente il nuovo mondo prima di tornare al vecchio. Così cena, teatro e cognac dopo teatro, compagnia speciale e poi, si riparte alla volta del patrio suolo.
Stavolta, ve lo confesso, sull'aereo mi è venuto da piangere. L'aria statunitense è piena di speranza, di vita che risale, di gente che fa e vuol fare. Tornare qui dopo quasi un mese di quell'aria fa sentire tutto il peso di quel che ci aspetta, della fatica presente in ogni cosa, se, anche noi vogliamo, un giorno di questi tornare a sperare.
Così oggi sono qui, sono tornata al lavoro, anche domani tocca, e la notte è lunga e il sonno non viene. Il mio fuso interno è ancora là, ci mette sempre un po' a mollare la presa. Guardo fuori dalla finestra, vedo la città, l'altro grande amore mio, Roma. E' bello andare da un amore all'altro, da lì a qui, da un gran casino di cemento ad uno di mattoni rossi. E' bello tornare a casa, vero?