giovedì 31 dicembre 2009

Post di fine anno

Nell'augurare un meraviglioso 2010 a tutti, ma proprio tutti i frequentatori (fissi, occasionali e sporadicamente presenti) di codesto salotto-cortile-aia-vicolo-piazza-sgabuzzino virtuale, vorrei proporre un coretto di elevata moralità ed invocante alla buona sorte, un coro che esemplifichi la qualità suprema dell'anima nostra, del livello culturale sempre sopraffino, dello splendore illuminato del nostro intelletto:


duemilaenoveeeeeeee
duemilaenoveee

.... eeh ....
MA VAFFA...
(con gesto)


BUON 2010


martedì 29 dicembre 2009

Addestramento*



Il telefono squilla, è un apparecchio grigio a tastiera, sta lì accucciato sul ripiano basso della libreria bianca in camera della madre. Squilla e vibra, la madre non risponde. Lo guarda alzando appena gli occhi dal libro, lo osserva da sopra gli occhiali che ha lasciato scivolare verso la punta del naso. Il telefono smette di suonare, parte la segreteria telefonica, una voce d'uomo, ossequiosa, quasi untuosa "Signora, cara sono XXX la cerco da un po'... sa avrei davvero bisogno di parlarle, quando può con comodo mi richiami... care cose" . La madre riprende a leggere scuotendo la testa e le spalle come a liberarsi di qualcosa, solo dopo alcuni secondi si accorge della figlia adolescente che la guarda dal vano della porta. La sua sgraziata creatura, sovrappeso e tanto, troppo intelligente "Be' non ci volevo parlare" le dice e sul viso aristocratico le spunta un'espressione da monella, quell'espressione che la figlia conosce bene, quella "faccia da impunita" che lei non sa riprodurre e che trova assolutamente affascinante. "Sì mamma, ma quello chiama 15 volte al giorno e io ho finito il repertorio cazzate da raccontargli... magari potresti dirglielo che lo scarichi... no?" la madre riporta gli occhi al libro "uhm, no, poverino ci resterebbe male... tanto tu mi fai da filtro vero?" e la guarda di traverso con il suo sorriso bambinesco, la figlia sbuffa "mamma io non ne posso più di raccontare balle ai gatti bagnati che raccatti e poi scarichi!" si gira di scatto e va via.
"Non ne posso più di inventare fesserie per arginare gli impiastri che mamma scarica!" due ragazzine sedute sui gradini dell'ingresso. Una magrissima e scura, l'altra giunonica e con la pelle chiarissima. "la vedi come fa? prima accoglie casi umani assortiti, non si lascia nessuno in mezzo a una strada, dice lei" la ragazzona si scosta un ciuffo dei capelli disordinati dal viso, gli occhi rivolti al suolo "li rimette a posto e quando stanno in piedi da soli, li scarica... senza dirglielo però ... e io lì a raccontare cazzate spremendomi la testa e lavorando di fantasia!" la ragazzina magra ride "ma dai che ti sta addestrando a diventare una romanziera!" l'altra sorride e alza gli occhi da terra "ma ché! mi sta solo addestrando a diventare una vera bugiarda!" ridono insieme, cercano di dimenticare il loro stato di abbandono, di ragazzine che nessuno vede, passano ad altro, al ragazzo appena conosciuto, al motorino che sognano, parlano di libri, di amori immaginari, si immergono nei loro discorsi da adolescenti brutte e sole.

Sono passati anni da quei giorni sui gradini. La ragazzona è diventata una donna atletica, ha sempre la pelle chiarissima anche se è estate, non ha quel vestire aristocratico della madre, niente abiti firmati, solo coloratissime sete da bancarella. Oggi siede nello studio del suo professore, lavora ad una tesi di dottorato che sta prendendo una gran bella forma, piena di risultati originali e di idee nuove. Sia lei che il professore sono molto soddisfatti. Lei poi è al settimo cielo, ha da anni una cotta per quell'uomo di mezza età, gentile, sempre impeccabile, estremamente intelligente e sotto sotto, un po' stravagante. Per lui si getterebbe nel fuoco ed ogni sua parola di elogio la rende felice per giorni. E' anche questo, come quello per la madre, un suo amore senza speranza, ma non le importa, oggi è qui nel suo studio e può godersi almeno un'ora della compagnia del suo idolo. Certo non è facile, il telefono squilla spesso, la gente bussa ancor più spesso, tutti lo cercano il suo idolo, chi per un consiglio, chi per un semplice caffè, chi per rimproverargli questo o quello. E' un catalizzatore di guai e "gatti bagnati", di disgraziati e brillanti scienziati con turbe della personalità. Un accademico sui generis, uno che quando ci sarebbe da tirare il colpo di grazia si ferma, sospende, "poveraccio" o "poverina" dice "lasciamo perdere che sta già abbastanza male" e non affonda il coltello. Ha carisma il suo prof. e non sa dire di no. Lo cercano, lo cercano e lui da udienza a tutti o quasi. "Prof... così non la finiremo mai 'sta lettura della tesi... prof... c'è una scadenza molto molto vicina" mormora e lo guarda implorante. Lui le rivolge uno sguardo sperso... "lo so mannaggia! senti adesso stacco il telefono anzi i telefoni, spengo anche il cellulare, vedi? ..." dice chiudendo l'apparecchio e staccando il ricevitore del telefono fisso "e sono tutto per te" sorride un po' sornione e lei ha il solito tuffo al cuore "ma se bussano e entrano non so che fare, mica mi posso nascondere sotto la scrivania!" aggiunge il prof allargando le braccia "eh, mica sarebbe una cattiva idea... " sorride lei.
Lavorano, leggono, cambiano frasi aggiustando l'inglese, sistemano equazioni, immersi in quella bolla di complicità e piacere intellettuale. Bussano, colpi imperiosi, lo sanno entrambi di chi sono, si guardano per un istante e lui è già sparito. La porta si spalanca, il collega anziano entra con passo deciso. L'anziano professore è sempre imperioso, incede non cammina, grandi falcate sicure spostano il suo corpo massiccio, lui non entra in una stanza, no, lui fa un ingresso in palcoscenico, sempre. "Dov'è quel disgraziato del tuo tutor?" esclama stentoreo "lo so che era qui fino a poco fa!!" esplodono le sillabe a riempire l'aria. Lei alza gli occhi pieni di innocenza e fissa direttamente il decano, un effluvio di perfetto candore emana da tutta la sua persona "Mi spiace professore, ma il prof. non c'è, mi ha mollato qui ed è andato via di fretta... non so ha ricevuto una telefonata, credo fosse qualcuno di importante, sa, gli dava del lei... ecco mi ha detto di aspettarlo qui..." la voce le trema, gli occhi le sono diventanti due abissi, trasudano sconforto, anche la postura parla dell'abbandono subito, le spalle lasciate un po' cadenti, il collo leggermente piegato da un lato, la fronte corrugata. Il decano si ferma un po' sconcertato "Be' ... ehm digli che sono passato... ho urgenza di parlargli... e... insomma, digli che è un disgraziato!" bofonchia, si gira e se ne va.
Lentamente da sotto la scrivania il prof. riemerge, ha i capelli un po' scomposti, un'espressione tra il perplesso e il divertito "Certo che sei proprio brava a dir cazzate!" esclama piano, sia mai che il decano senta la sua voce ed irrompa di nuovo. "uhm prof.: sono stata molto ben addestrata." sorride lei guardando il suo idolo.

ogni riferimento a persone o fatti reali è puramente strumentale alla costruzione del racconto di fantasia

*dedicato a chi ci si riconosce, caso mai dovesse passare di qui

sabato 26 dicembre 2009

Passioni


da ascoltare mentre si legge

"Io sono una persona passionale" dice il padre alla figlia "ed è, alla fine, per questo che con te litigo così... violentemente" fa una pausa passandosi la mano sul viso. Sono in salotto nella casa in cui lei si è nascosta, hanno litigato ferocemente, anzi, lui ha litigato con lei ferocemente. Il padre è rosso in viso, la figlia non mostra nulla, lo guarda in silenzio "certe volte stai lì, fai delle cose terribili senza che traspaia un'emozione... le fai a te non agli altri... questo tuo modo mi fa uscire di testa". E' stanco quell'uomo e la figlia tace. Nel tacere delle loro voci si sente il mare e il frusciare dei rami, "Babbo….." mormora e le parole non escono, non è una bambina da un pezzo e il padre è un anziano signore - lui dice di non essere più un ragazzino. In fondo, vorrebbe solo deporre le armi e stare tranquilla. Guarda quell'uomo straordinario che, a più di settant'anni, ha ancora la vitalità per infuriarsi con tutta l'anima, per gridare al mondo rabbia e amore. Lo guarda e vede, con tristezza, tutto quello che lei ha cercato di fuggire, quel vortice di emozioni, un gorgo potente che si scatena e travolge ogni cosa senza riguardo per grandi o piccoli, per forti o deboli. E' in quel gorgo che è cresciuta senza sapere come gestirlo, in quel mare, troppo spesso in tempesta, che l'ha quasi affogata. Il padre, rassegnato a quei silenzi, si siede sul bracciolo del divano "oggi non parlo delle mie passioni, di quelle di tua madre o di chissà chi, parlo delle tue... " alza gli occhi quel vecchio egoista e fin troppo intelligente, la fissa. Poi distoglie lo sguardo e lo lascia vagare sul mare, "non puoi restare qui, non puoi fuggire dalla tua vita e sprecare anni di lavoro solo perché non hai mai imparato a gestire i tuoi demoni" dice senza guardarla, "non è giusto un simile spreco" mormora quasi a sé stesso "Non conosco i dettagli degli ultimi mesi della tua vita, sei ben più che adulta e se non ne parli è affar tuo, non so cosa tu abbia combinato e perché, ma so che non sei mai cambiata da quando eri piccola… tu o sali sulla barricata con il fucile o te ne vai… ora però te ne sei andata per troppo tempo… lo so che ci hai provato, lo so, sei un capo laboratorio, sei una scienziata di alto livello, non … merda … non puoi mollare tutto e andar via!! non puoi nasconderti quasi tre mesi in questa cazzo di tana a far nulla!! che cazzo fai tutto il giorno qui? guardi il mare? conti gli aghi di pino?" si sta infuriando di nuovo, ma la guarda e smette.
La figlia continua a tacere, assorbe le parole del padre, ne assorbe la verità, sente i suoi demoni gorgogliarle nella pancia, ascolta il gorgo che è anche suo e che lei vuole cancellare, ignorare, fuggire. Per questo si è nascosta, per questo ha gettato la spugna ed è scesa dalla barricata, per dirla con le parole del vecchio. Lui che ha guidato per ore per trovarla e parlare di persona, lui che non c'è mai se lo cerchi, ma solo quando vuol farsi trovare. Lui è venuto fin là per dirle quello che pensa. "che gran gesto d'amore … e di prevaricazione" pensa lei e sorride. "Babbo perché non la smettiamo?" raddrizza la schiena e si sposta dalla madia a cui si è appoggiata, come a difendere la schiena, a cercare sostegno, "ho una buona bottiglia, dei pomodorini eccezionali e faccio una pasta. Magari un po' piccantina che ho dei peperoncini fetenti che sono una meraviglia" sorride. "Qui non si fa proprio nulla finché non spieghi o mi garantisci che torni" il vecchio non molla; stavolta è come quando da bambina e da adolescente raccontava bugie che lui scopriva, finché non saltava fuori la verità lui non la mollava, oggi non c'è strategia diversiva che tenga. Lei si appoggia di nuovo alla madia "non c'è nulla da spiegare, non ne posso più e basta. Te l'ho già detto. Non ce la faccio più a star lì a combattere contro i mulini a vento, con la mancanza di soldi per lavorare, con le mezze-calzette che mi passano sulla testa, con gli uomini sbagliati che mi scelgo… babbo se tu non sei più un ragazzino, io sono una signora di mezza età, con un pugno di mosche in mano, senza una vita affettiva, senza figli… non che non ci abbia provato, lo sai, ma sono un'incapace su questo lato… là dove sono capace il mondo mi crolla addosso e mi sento vecchia per puntellarlo… o per ricominciare da capo un'altra volta" parla senza guardarlo, le scende una lacrima sul viso rivolto alla finestra, gli occhi persi sul mare. "le passioni bruciano, consumano e poi finiscono… forse la mia per la scienza è finita…" il vecchio si alza di scatto "Cazzate! Stai facendo la lagna come una ragazzina! Tu sei una guerriera, la mia guerriera.... lo hai dimostrato a me, a te stessa e a tutti mille volte… che è adesso 'sta lagna? che vuol dire non ce la faccio più?" si ferma di colpo nel suo gridare, guarda quella donna che è sua figlia, vede di nuovo la sua bambina di 6 anni che si è rotta una spalla e sta zitta, una bambina che non piangeva mai, che però, quel giorno, non ce la faceva neppure a muoversi. A quarant'anni di distanza è la stessa cosa, si è rotto qualcosa in quella figlia sua, sta ferma e respira piano, con attenzione, perché ogni respiro fa male. Si ferma il vecchio, come allora si ammorbidisce, mette da parte la sua ira, la sua ansia. Lui non sa cosa sia successo, se c'è stato un fatto specifico, se c'è stato un ennesimo uomo "sbagliato" che sua figlia ha scelto o se un qualche collega ha affondato il coltello un po' più a fondo, una volta di troppo; a questo punto non importa, cè solo quella figlia rotta da riparare ancora una volta. "Va bene,…" allunga una mano a farle una carezza "che vino hai? magari un bicchiere … ecco sì una pasta ci sta bene…" la guarda negli occhi ora; occhi cangianti, ora scuri, ora chiari, come i suoi, schermi in cui, per un attimo, scorrono i dolori di una vita intera provocandogli un brivido gelato lungo la schiena. Si soffia il naso, lei, raddrizza la schiena, si gira, prende la bottiglia e la passa a lui per aprirla "Ora preparo e poi starò qui tranquilla" alza la testa a guardarlo negli occhi, "puoi strillare quanto vuoi, finché non sarà il momento io starò qui… a contare aghi di pino…" Sorridono entrambi, lo sanno che lei tornerà, lo sanno che farà come dice lui, ancora una volta, perché lei è come lui, come la madre che non c'è più: condannata ad essere un combattente, senza speranza di fuga. Si accende una sigaretta e mette l'acqua sul fuoco "E piantala di fumare che così t'ammazzi" "Babbo, non rompere i coglioni". Mentre l'olio comincia a sfrigolare nella padella e l'acqua a scaldarsi, un falco pellegrino volteggia davanti alla finestra, plana, risale e poi va.



da ascoltare alla fine.
e come dice galatea: è un racconto di fantasia, che non fa riferimento a persone, luoghi o avvenimenti reali....

lunedì 21 dicembre 2009

Solstizio

Seduta sul divano aspetti che ti passi il raffreddore, la tosse, qualche linea di febbre. Stai lì e per forza devi stare a casa. Un po' lavori, un po' cincischi su internet, un po' chiacchieri al telefono o su skype. Aspetti che i colpi di tosse si diradino, che magari fuori faccia meno freddo. Stai buona buona in una nicchia accoccolata al caldo. Ripercorri nei ricordi gli anni, cosa è successo questo giorno gli anni passati? Fai una lista di cose, intorno al solstizio d'inverno ne sono sempre capitate tante nella tua vita. Scorri i solstizi, ricordi, fai due conti e guardi con sollievo il calendario, presto saremo oltre. Tra poco le giornate ricominceranno ad allungarsi, tra poco comincerà a tornare quella strana sensazione di speranza che l'anno nuovo ti comunica. Sei asincrona, per te l'anno nuovo arriva al solstizio, entri nell'inverno e nel tempo nuovo. In quel giorno, da sempre, è come se ti accoccolassi sotto la neve, in una tana di marmotta, di solito ti metti in sospensione a raccogliere le forze. Immobile metabolizzi l'anno passato, lo accarezzi e lo coccoli, ne accogli le lacrime, ne abbracci i sorrisi, ti lasci avvolgere come un mantello dal tessuto fatto di attimi che hai costruito quest'anno. Quel tessuto forma un baccello, ti ci sdrai dentro, sei diventata un seme, lo sai, tra non molto arriverà il momento di cominciare a germogliare di nuovo.

lunedì 14 dicembre 2009

Have you ever seen the rain

perché un lunedì con la pioggia a dirotto va preso così...




Someone told me long ago
They were gone before the storm
I know, it's been coming for sometime
Be it so, and so I say

Little rain and sun by day
I know, shining down like water

I wanna know, have you ever seen the rain
Coming down, down this day
Coming down, down this day

Yes for days and days before
Sun is rain and cold is hot
I know, in this place got all my found
Thru the circles fast and slow
There for every moment goes
I know, I can't stop, I wonder

I wanna know, have you ever seen the rain
I wanna know, have you ever seen the rain
Coming down, down this day
I wanna know, have you ever seen the rain
I wanna know, have you ever seen the rain
Coming down, down on a sunny day
I wanna know

venerdì 11 dicembre 2009

Pause

Capita di sedersi da una parte, di mettersi lì mentre dovresti essere altrove, dovresti dire-fare-pensare ad altro. Invece no, ti siedi, ti fermi e resti lì. Guardi la gente che passa, la signora con in una mano il guinzaglio del cane che la trascina e nell'altra i sacchetti per pulire dietro al cane. Il signore in giacca e cravatta con il chihuahua al guinzaglio, è alto, grande, quel signore, il cane sembra un incidente incongruente accanto a lui. Guardi i bambini che vanno a scuola, sono di venti paesi diversi e tutti si insultano in romanesco, si muovono a colpi di "aho" e "mo che voi da me". Hanno vestiti simili, ma ognuno riflette il luogo di origine familiare, un dettaglio, una luce negli occhi di un colore appena diverso.
Scorrono le auto, una dopo l'altra, a momenti ferme con i paraurti attaccati. Scorrono, con i passeggeri abbrutiti del mattino, pieni di auricolari e parole che puoi solo intuire. Vanno. Dove vanno? Su qualcuno ti viene su una storia. Quella donna giovane e bella, perfettamente truccata, perfettamente vestita, parla concitata al telefono, la bocca le si piega in un pianto trattenuto. E tu immagini una conversazione d'amore, un dialogo con un uomo che non è il legittimo compagno, che esiste, perché lei ha un anello da moglie al dito dal quale il sole ha appena tratto un riflesso. Parla nel traffico fermo e una lacrima le riga una guancia mentre chiude il telefono. Forse lui è stanco di aspettare una sua decisione. Così la testa va alle decisioni che tu dovresti prendere, quelle che non vogliono essere prese, quelle che sai che dovrai prendere se vuoi ritrovare un sorriso. Quelle decisioni che solo nelle pause ti permetti di pensare, quelle cose che, se tanto non le decidi, poi si decidono da sole, quando meno te lo aspetti.
Sei in pausa, il fare non è di adesso, solo l'osservare appartiene all'istante. Passa il tram, passa l'autobus, il traffico si dirada e sei in ritardo, te che sei sempre puntuale, te che non vuoi mai perdere un colpo. Oggi perdi, oggi sei in pausa, oggi al diavolo il mondo, tu sei seduta lì e il resto non conta.

giovedì 10 dicembre 2009

Naviganti - Ivano Fossati

Perché oggi si naviga a vista

domenica 6 dicembre 2009

Periodi

In uno di quei biscotti della fortuna che ti danno ai ristoranti cinesi, una volta mi è capitata una frase che non ho mai più scordato: "Non è la mancanza di ricchezza ad essere dolorosa, lo è la mancanza di condivisione". E' in nome di quel biscotto che scrivo.

E' questo un periodo, di caos interiore. Le parole non sgorgano ordinate perché non vi è ordine alcuno. Non esistono isole stabili, punti fermi o ciambelle di salvataggio. L'anima vortica in un caos vagamente lisergico e le parole la seguono. Un periodo in cui il mio senso di estraneamento al mondo che mi circonda è sempre più forte. Vivendo sola, poi, non ho modo la sera, quando il ritmo si quieta e il fiume della giornata scorre placido, di vivere un momento di confronto che, potrebbe, ricondurmi negli argini del "normale". La sera torno a casa, dopo una giornata intensa, mi guardo intorno e c'è solo il rumore del tram. Anche la sera, come la giornata, diventa autoreferenziale. Detta altrimenti: te la canti e te la suoni tutta per conto tuo.
E' questo il pericolo maggiore della solitudine. Quel cantare e suonare dentro una sola testa, senza mai uscire fuori nel mondo reale, senza quel confronto quotidiano con qualcuno che ti riporta nei limiti. Ascolti solo una campana, una sola versione di ogni storia: la tua.
Va be' dirà qualcuno, ma durante il giorno passi un sacco di tempo in mezzo alla gente, a parlare, interagire, fare. Questo è quel che succede sul lavoro. Ma là non è mai un interagire rilassato. Non esiste un ambiente di lavoro in cui puoi serenamente dire quello che pensi, in cui puoi liberamente essere te stessa. Se così fosse avrei forse messo la mia foto e il mio nome su questo blog. No sul lavoro indossi l'abito da lavoro e fai le tue cazzate in versione specifica ed adatta al luogo. Ci passi spesso ben più di otto ore in quel luogo del fare. Quel che resta del giorno è pieno dei piccoli doveri della sopravvivenza: fare la spesa, pagare conti, sistemare cose. Restano una manciata di ore che sono tue, che dovrebbero servirti a riconquistare la sanità mentale. E allora te le inventi tutte, dal comprarti la moto nuova, all'andare in palestra, al porgere la spalla a chi è nei guai.... In cambio hai spesso grandi dichiarazioni di amore, di stima e affetto. Eppure quell'assenza di condivisione quotidiana resta. Ogni giorno ti alzi e dici: passerà, è solo un periodo un po' di merda. Riparti e continui inventando schemi nuovi, ristrutturando o elminando i vecchi. Ti senti come se camminassi sulla gomma piuma, con un vago ma persistente senso di irrealtà. A pensarci bene, questo è un periodo in cui mi sembra di essere ad una di quelle serate mondane, anche piuttosto trendy e fighette, in cui vaghi con un bicchiere in mano scambiando poche parole qua e là, in cui ti si fanno e fai complimenti, in cui hai l'aria di avere uno scopo, di star magari cercando qualcuno o che qualcuno ti cerchi per dirti qualcosa di rilevante, in cui, però, dentro di te, passi il tempo a chiederti: ma che sto facendo io qui?


Nuvole... Esisto senza che io lo sappia e morirò senza che io lo voglia. Sono l'intervallo tra ciò che sono e ciò che non sono, fra quanto sogno di essere e quanto la mia vita mi ha fatto essere, la media astratta e carnale fra cose che non sono niente, più il niente di me stesso. Nuvole... Che inquietudine se sento, che disagio se penso, che inutilità se voglio!
(Fernando Pessoa, "Il libro dell'inquietudine")

martedì 1 dicembre 2009

Mi sono innamorata....

Lui si chiama Beverly (500cc), non è un ragazzino di primo pelo, ha già 20mila km sulle spalle, ma si sa, a me gli sbarbatelli non sono mai piaciuti. Oggi ci siamo fidanzati ufficialmente, ma era già un po' che ci facevamo la corte. Anche se con gran dolore ho detto addio al mio compagno degli ultimi 10 anni, avevamo 60mila km fatti insieme e tante avventure. Lo regalo, il mio vecchio mulo, l'ho lasciato al concessionario e vediamo se potrà fare felice qualcun altro almeno come ha felicitato me.
Così è iniziata una nuova avventura. Stamattina, sotto la pioggia romana, nel traffico terrificante del mattino, ho avuto la conferma: io e beverly ci amiamo davvero.

Ps. Beverly pare significhi "beaver stream": ruscello dei castori... bellissimo

domenica 29 novembre 2009

Domani è lunedì...

Domattina si torna al lavoro sul Titanic. Dopo un fine settimana sostanzialmente lavorativo a casa, dove gli scricchiolii dell'iceberg sono solo uno sgradito ricordo, l'idea di riavvicinarmi in zona terza classe mi disturba un po'. Al fine di evitare ansia e disturbi della personalità sto procedendo con l'ascolto e la visione di questo video, da cui trarre fondamentale ispirazione.




Continuo a ripetere, come fosse un mantra: "Sei Doris Day, la vita è un film, sei Doris Day, pure se sei stonata".

lunedì 23 novembre 2009

Tempesta?

Certi giorni ti senti così, come un cielo in tempesta. L'anima in subbuglio, i pensieri che si addensano neri e si raggrumano in crocchi rabbiosi, un parlottio concitato invade ogni angolo della mente e potresti prendere a schiaffi chiunque. No non chiunque, ma coloro che vagano per la vita come se in fondo ciò che accade non fosse affar loro. Non parlo di monaci zen che hanno raggiunto l'illuminato distacco dal mondo, non parlo di gente che è nel mondo ma non appartiene ad esso No, parlo di quella immensa carrettata di imbecilli che continuano a guardare solo i propri calli quando una nave sta affondando. Coloro che hanno del mondo una visione così ristretta ai soli personalissimi interessi che, dopo 10 minuti che ci parli, ti viene la claustrofobia, ti si raggrinziscono i neuroni e ti sale la nausea. Ti prende un attacco di pessimismo universale, smetti di proferire verbo, taci, guardi e mentre loro parlano, quei due neuroni ancora vivi, cominciano a cercare le indicazioni per le scialuppe di salvataggio. Alzi gli occhi e vedi la stanchezza immensa che ha invaso la faccia di un altro, quell'altro che sa che c'è una falla grossa come una casa, che ha capito che abbiamo preso l'iceberg. Allora vorresti la bacchetta magica, non per salvare la nave, no, solo per trovarti altrove, velocemente ed evitare di vomitare in pubblico. Ecco magari inviteresti pure quell'altro, non foss'altro perché si merita una vacanza.
Ecco mi sa che ultimamente ho passato troppo tempo dentro a riunioni di lavoro....

venerdì 20 novembre 2009

Blue moon Ella Fitzgerald

ce l'ho in testa da stamattina, eccovela magari così smette di rintronarmi


(cfr anche l'altra mezza chimera)

lunedì 16 novembre 2009

Addio mia bella addio....

Oggi è il 16 novembre 2009 e nel Lazio la televisione non c'è più. Per la precisione hanno spento l'analogico. Per me, nella mia farlocchissima mente, si apre un universo felice: posso buttare la tv. Eh sì perché io il digitale non me lo compro. Ho delle ottime scuse pronte per non farlo, ho una lista di priorità pressanti lunga come una parete: devo ricomprarmi lo scooter che il mio sta per esalare, ho da pagare il dentista, mi mancano diversi mobili in casa etc etc etc. La verità è che queste sono tutte scuse, l'unica assoluta incontrovertibile verità è che finalmente mi sento libera di liberarmi del televisore.
Ad un certo punto della mia vita trascorsi diversi anni senza quella cosa in casa, non lo dicevo a nessuno, quando nella conversazione si finiva a parlare di programmi televisivi, io, semplicemente, tacevo. Il fatto è che poi qualcuno se ne accorse, ne parlammo e io spiegai che la tv mi rompeva le scatole, che non mi piaceva, magari mi potevo vedere un film ma sia l'oggetto che i programmi, non mi piacevano. La mia spiegazione venne interpretata immediamente come atto snob. In fondo sei un'intellettuale, tu, per quanto farlocca questo sei, il tuo è un atteggiamento da snob con la evve moscia, la tv non la vuoi vedere perché sei schizzinosa culturalmente ... e giù botte da orbi. Nessuno credeva che la mia fosse pura e semplice noia, no, dietro ci doveva essere qualcosa, un rifiuto, un desiderio di originalità ad ogni costo, come minimo, dettato dalla mia insicurezza-fragilità-cretinaggine (a scelta o tutte insieme fate voi). Hai voglia io a dire che "giuro che non è snobbismo solo appallamento feroce", no mi stigmatizzavano come "pessima-radical chic(???)-intellettuale di merda" etc etc. Me ne diedero talmente tante (metaforicamente parlando) che mi comprai un 14 pollici per non farmi più dare della snob praticamente stronza. Passò del tempo ed andai a vivere con l'uomo di turno. Ad un certo punto cominciarono le difficoltà. Mutismi e silenzi, solitudine da mugugno altrui, da silenzio che diventa come piombo e io riaccesi il televisore. Non era più il 14 pollici comprato per disperazione, bensì un accrocco fatto con video lcd da 17 pollici, dvd-vhs e antenna portatile, il tutto collegato ad uno stereo di ragionevole qualità. Be' i dvd ci si vedevano e ci si vedono bene, canali tv se ne vedevano 4 scarsi ma era un aiuto perfetto per sopravvivere alle difficoltà di relazione. Mi sono sorbettata ore di CSI, dottori sadici e/o talmente buoni da far venire le carie, ma meglio loro che il muro di indifferenza che certi giorni trovavo tornando a casa. Nei periodi buoni però restava di nuovo spenta la macchinetta, al massimo la si accendeva per un film da condividere con schifezze seduti sul divano. Erano belle serate quelle, non guardavamo la televisione, ma condividevamo qualcosa, fosse stata pure una partita a tre-sette a me sarebbe sembrata la cosa più bella del mondo. Alla fine pure quella convivenza finì, l'accrocco video-stereo-antenna-dvd seguì me nella nuova casa. Restava spento quasi sempre, qualche rara accensione quando facevo il cadavere sul divano, o se un ospite voleva proprio vedere qualcosa. Ora, finalmente, potrò buttare quell'antenna portatile che impiccia, l'accrocco lo userò solo per i dvd e quando leggerò un post che non capisco perché pieno di riferimenti tv chiederò serenamente spiegazioni. E non sono più io che sono snob-stronza-radical chic sono loro, cattivi, che mi hanno spento il segnale...


giovedì 12 novembre 2009

English theater



In questi giorni tra lavoro e raffreddore non ho cervello per scrivere. Ma capita comunque che mi imbatta in qualcosa di bello e che abbia voglia di segnalarlo.

Se capite bene l'inglese e passate da Roma entro domenica 15, all'arciliuto c'è uno spettacolo che mi è piaciuto enormemente:

THE ENGLISH THEATRE OF ROME

FORD ENTERTAINMENT presents
GOOD GRIEF
written by Terrianne Falcone
Directed by Parysa Pourmoneshi
Live Original Music by Angelo Nitti

E' un one-woman show, con 9 storie raccontate magistralmente da Terrianne Falcone, in un'atmosfera quasi magica creata da pochi oggetti e immagini. Brandelli di vita, di umorismo e tragedia che in poche parole e pochi gesti arrivano direttamente all'anima di chi guarda. Uno spettacolo messo su con quasi nulla, che non ha pretese di avanguardia o sperimentazione, ma solo di essere del buon teatro.

venerdì 6 novembre 2009

Just Breathe

Certi giorni non c'è altro da fare....

lunedì 2 novembre 2009

Visioni novembrine


L'autunno io lo sento sopratutto a novembre, quando le strade si riempiono di foglie, i tombini si otturano e Roma si allaga. Mi piace l'autunno, anche se è malinconico, anche se le foglie cadono e ti viene da piangere nel grigiore dei giorni piovosi. Mi piace pensare che sia la chiusura di un altro ciclo, un altro anno che va a finire, un anno che ora si scioglie tra i marciapiedi e le gocce d'acqua, per poi diventare ghiaccio e, finalmente, rifiorire in una nuova primavera. Mi piace guardare le stagioni, lo scorrere del tempo, la rassicurante eternità (su scala umana) dei cicli naturali. Io che mi sento effimera, mi rassicuro di questa continuità.
Mi rassicura sapere che a novembre a Roma ci saranno le foglie per terra, che la gente dirà male del sindaco di turno perchè pioverà e tutto si allaga; so che odierò la pioggia, che sarà come sempre, freddo e grigio, che tirerò giù il calendario per le ore passate nel traffico, su due ruote, sotto l'acqua, con la paura di scivolare su quelle foglie che non-si-fa-in-tempo-a-toglierle e già ristanno per terra. Ricorderò le immagini americane di parchi e valli colorate come solo, per un attimo nell'anno e solo là, può accadere.
E' la malinconia meteorologica che si sposa bene con quella interna, con quel senso di solitudine che ti da certe volte la vita effimera, l'essere senza progetti, senza una meta da raggiungere. Quando ti rendi conto di avere tutto e che quel tutto non è niente, che è effimero pure il "tutto" che ora possiedi, perché poi arriva l'autunno e cadranno le foglie e il ciclo ricomincia.

E poi, ci sono le poesie, le canzoni che sono state scritte sull'autunno.



martedì 27 ottobre 2009

Dell'elettronica e delle scienze esatte



F: Pronto C.? AAAARGH mi regali un corno rosso con gobbetto associato? forse anche un po' di acqua di lourdes...

C.:Che succede?

F.:Domenica ho lavorato tutto il giorno ma proprio tutto. Alle 18:45 mi chiama un'amica e mi dice "ma dovrai pur mangiare... vieni qui!"

Dico "sì va bene" chiudo il computer e mi dico be' il backup lo faccio dopo cena ed esco... torno presto, accendo la macchinuccia infernale e il video non funziona più ... morto stecchito

C.:non hai un altro video?

F.: Sì uno vecchio decrepito, ma pare defunta la scheda video dato che la bestiola non parla neanche con altri video

C.:Cazzo

F.:Esatto... ma la sfiga non viene mai da sola... infatti mentre biastimo tra me e me, l'ovvia litania di "ma porco qui porco lì di sopra e di sto!!" decido di consolarmi con un po' di cura a me stessa, ho una geniale idea: mi faccio la tinta ai capelli. Parte l'operazione e faccio la tinta.

Ho l'impiastro i testa e dopo il dovuto tempo comincio a sciacquare il tutto nella doccia. Dopo poco mi rendo conto che il livello della melma che stavo producendo, invece di decrescere cresce... è tappato lo scarico.

C.: (ridacchia)

F.:Smetto prima che la melma strabordi. Finisco di sciacquare nel lavandino con rinnovato turpiloquio e insieme di bestemmie (almeno 5 capocciate sulla mensolina dello specchio con crollo di prodotti cosmetici ovunque e melma ovunque)

C.: (suoni soffocati di ridacchiamento)

F.:Capelli sciacquati prendo l'idraulico liquido che stura un po'. Asciugo e vado a letto a mezzanotte. La mattina: mi fiondo in ufficio all'alba io e il tecnico (che è bravissimo) partiamo di contorsioni informatico-fisiche per vedere se é proprio morta la scheda video... è morta

C.: machecazzo

F.: Già l'ho pensato e non l'ho detto... sai com'è ero in ufficio... be' allora parto alla ricerca di un mac di qualcuno per attaccarci il mio come slave e copiare il disco.

C.: Già che con il mac è facile copiare da una macchina all'altra... e poi da te in ufficio ci sono vari possessori di mac no?

F.: Assolutamente sì, peccato che lunedì avevano tutti (chi a ragione e chi meno) un'ansia infinita...

C.: Ma scusa anche l'amico tuo quello che ti sta più simpatico...?

F.: Gli ho chiesto aiuto .... Ma per carità che sta in mezzo ai casini ... ho sbagliato io a chiederglielo. Comunque dalle 8 che ero lì riuscendo rocambolescamente anche a lavorare un po', la salvezza giunge alle 15:30 da uno che non me lo aspettavo proprio... mi ha fatto proprio piacere va!

C.: Ma poi?

F.: Be' nel frattempo ho telefonato a vari rivenditori, anche di PC e alla fine trovo un negozio di Mac che ha un'offerta e al volo, aiutata da tutta la truppa dell'amministrazione in preda a crisi di efficienza, accatto un altro computer che mi hanno dato oggi.

C.: Gran culo direi!

F.: In effetti sì.

C.: Ma scusa allora perché sei tornata alle 10 a casa ieri?

F.: E' che avendo copiato il copiabile su di un disco formattato mac volevo stampare una relazione su cui avevo lavorato buona parte di domenica e dovevo consegnare di corsa. Così mi attacco ad un PC dotato di software apposito per leggere dischi mac e prego per lavorare....

C.: ....

F.: Col cavolo!! non lo vede, guarda te la faccio breve .... in sostanza alle 9 di sera vado a casa di P. e dal suo mac copio la roba su un disco formattato NTFS....

C.: (ride)

F.:' Tacci tua nun ride che è na traggedia!!!

(ride ancora di più)

F.: Va be' sono andata a casa e ho sturato la doccia... Oggi ho recuperato il mac nuovo e fatto una sagra dell'installazione....

C.: Va be' sei salva....

F.: Insomma, in realtà sono un po' preoccupata, perché vedi quando ho collegato i due mac lo schermo del mio si è riacceso...

C.: Ma non ci credo.....!!!

F.: Sì sì giuro, oh lo avevamo attaccato a qualsiasi cosa per vedere se funzionava.... comunque me lo sono riportato a casa e lì non funzionava di nuovo. Chiamo mio cognato che è un informatico vero, mica come me, è di quelli che sanno di hardware e di software, e gli chiedo lumi... dice "Farlocca l'elettronica è magia..." allora io domani vado in assistenza e gli chiedo se devo usare aglio e peperoncino, ali di pipistrello, code di lucertola o acqua di lourdes per far funzionare 'sto di coso....

C.: Mi fai sapere che dicono?

F.: Promesso, ti chiamo appena lo so.

sabato 24 ottobre 2009

SIMPLY RED ♫EV'RY TIME WE SAY GOODBYE

L'ho sentita e mi sono ricordata chi l'amava molto questa canzone... chissà se, dove sta, ancora la canta con la sua voce da mezzo soprano.... Aveva una bella voce, era svagata come pochi, ma era una strana forza della natura, dirompente e devastante, a volte, altre ancora era l'accoglienza fatta persona. Sapeva essere anche ben stronza, certe volte. Ma c'era amore in tutto quello che faceva. Ecco era così.

martedì 20 ottobre 2009

Faticosamente procedere


E' un po' che corro dietro a me stessa. Non con la solita modalità del frullatore, piuttosto direi con quella del trattore. Pot pot, il motore gira senza interruzione, pot pot pot aro campi e trasporto concime. Salgo per valli e fossi, mi arrampico qui, mi trascino dietro qualcosa lì. Fondamentalmente lavoro come una bestia meccanica senza soste. Trovo questo meglio del frullatore, in fondo così, almeno, non mi sento in balia degli eventi. Non mi sento trascinata via, anzi mi sento di essere io, in parte, motore della corrente. In questi giorni la testa funziona bene, la luce della stanza dell'anima è più forte, ci si vede meglio. Le atmosfere interiori più quiete, sorrido di più e sopratutto, ho trovato un paio di intorcinamenti matematico-cerebrali che mi appassionano. Be' non intendo illustrarli in dettaglio che se no anche i miei 4-5 lettori abituali non tornano più, però vorrei dire che sono begli intorcinamenti e li preferisco a quelli del cuore-anima-budella che ultimamente mi davano abbastanza fastidio. Però non riesco a fare a meno di lasciar emergere la mia anima nerd e andare di poetica matematica.

Esistono funzioni matematiche che mi sono simpatiche, una è il logaritmo. Già vedo la perplessità sorgere al fondo dell'occhio di chi legge, da un lato c'è chi non si ricorda assolutamente cosa sia un logaritmo, dall'altro chi se lo ricorda è veramente perplesso, cosa ha mai 'sta funzione di bello? simpatico poi.... Un attimo che spiego. Quando cominci a studiare matematica un po' seriamente, ti raccontano prima di tutto le cose più semplici, le proprietà di base delle funzioni, non so, come cresce o decresce il loro valore, se si comportano "bene" secondo un insieme di regole e così via. La funzione log(x) si comporta abbastanza bene, è regolare, un tipo tranquillo, senza salti o grilli per la testa. E' una funzione crescente di x, il che vuol dire che cresce x e cresce pure il valore di log, solo che, ecco, il log(x) è una delle funzioni che crescono più lentamente tra quelle "regolari". Va piano, non si agita, non corre, ma costantemente, al crescere di x cresce, piano piano. Queste sue qualità di tranquillità e regolarità mi hanno sempre attratto. Nella mia testa poi si formano come sempre immagini e rappresentazioni umane dell'universo formale, in questo periodo cerco, immagino, una funzione che descriva me e il mio livello di equilibrio e saggezza al crescere di x=anni di età. Mi piacerebbe tanto che fosse almeno Farlocca(x)=log(x).

sabato 17 ottobre 2009

Domande


presa da qui

Stamattina, caffè alla mano, sfogliavo i giornali via web e mi sono imbattuta in questa segnalazione. L'idea è venuta ad un gruppo di "creativi" multimediali con studi a New York e San Francisco: andare in giro telecamera muniti e porre la stessa domanda a coloro che incontri filmando la risposta.

La domanda è semplice Dove ti vorresti svegliare domattina? Io ci ho pensato e magari poi ve lo dico pure....


lunedì 12 ottobre 2009

Roma, a volte


Certi giorni di ottobre a Roma, non hanno prezzo. La temperatura è perfetta, né troppo caldo, né troppo freddo, l'aria è tersa, appena pulita da uno scroscio di pioggia, la terra bagnata, i sanpietrini finalmente puliti. Sono anche arrivati degli amici da fuori, così puoi cogliere l'occasione per andare a vedere qualcosa che ancora non hai visto, perché a Roma c'è sempre qualcosa che non hai visto. La Villa dei Quintili ad esempio o il giardino pubblico di Villa Aldobrandini che ce l'hai sotto casa ma non ci sei mai passata. Il giorno scorre dolcemente nell'aria tiepida che non si raffredda nemmeno a sera. Cammini per le vie del centro, entri in un bar dove una ragazza cinese ti fa un caffè ottimo, visiti una mostra, vai a cena con quegli amici di passaggio. Ti nutri del calore della loro compagnia, dell'affetto che ti sembra normalmente merce rara mentre ti disperdi nei mille rivoli del quotidiano. Gli amici ripartono, lasciano dietro di sé una presenza dipinta con i colori delle risate e delle belle discussioni, lasciano qualcosa che, forse, ti nutrirà per tutta la settimana.
La sera di ottobre è ancora morbida, vale la pena proseguire; magari con un cinema che poi scivola tra i tavoli di un minuscolo caffè dove qualcuno, che stava lì solo per caso, comincia a suonare Beethoven al pianoforte. Passa un venditore ambulante e tra le note del Chiaro di Luna vuole venderti un ragno di metallo che ti massaggia la testa. Intanto al tavolo vicino due innamorati si guardano negli occhi da un'ora senza parlare. Tu stai lì, con la tua amica a parlare dei passaggi della vita che marcano anche il corpo e di teoria e pratica dei sistemi umani, così, ondeggiando da una storia all'altra.
Essere a Roma, a volte, è come sogno.

domenica 11 ottobre 2009

Animals Please Don't let me be Misunderstood.

Magari è solo l'influenza dell'altra mezza chimera che canta invece di scrivere... ma oggi c'è solo questo

mercoledì 7 ottobre 2009

L'acchiappa farfalle

Tra un notturno e l'altro dell'anima, tra un momento autunnale in cui le foglie cadono nell'anima e un attimo di luce radiante come solo l'ottobre romano sa dare, sorge una sensazione forte, una presa di coscienza impellente, un sentire con ogni fibra del proprio essere così intenso che quasi devasta. Mi sento cretina. Sì non solo farlocca, ma proprio cretina. Vi capita mai, mie cari 4 lettori, di agire, pensare, realizzare comportamenti in cui anni e anni di vita, esperienza, saggezza (e chi più ne ha ne metta), svaniscono come per incanto? Come se voi foste ancora una sorta di virgulti tra l'infanzia e l'adolescenza non ancora sbocciati? A me capita e quando capita, appena me ne accorgo, mi sento una perfetta deficiente. Mi dico "ma come sei lì che parli di frattali esistenziali, di coazioni a ripetere, di evoluzione e poi... ma cazzo, guardati!". Do la testa nel muro. Continuo "Ecco, subumana che non sei altro, che non lo sai che ci sono cose, persone e situazioni che ti destabilizzano? che in questi casi devi stare attenta a quel che fai? e smettila di fare il generatore frattale, porco qui e porco lì!!!!" Il turpiloquio nasce spontaneo. Gli insulti non finiscono qui, gli episodi da perfetta cretina inducono una severa critica, evocano una definizione di me che posso riassumere solo con il titolo del post: mi sento un'acchiappa farfalle. Una specie di futile, farlocchissimo, personaggio che insegue il proprio sentire con un retino, per altro a maglie troppo larghe, dal quale le farfalle scappano che è una bellezza.
Capisco che ora all'esiguo ma degno pubblico sorga spontanea una domanda: ma che cacchio hai fatto mai? Semplice, ho ri-perso le chiavi dello scooter.

sabato 3 ottobre 2009

Quel che resta


"E qualcosa rimane tra le pagine chiare e le pagine scure..." cantava De Gregori quando ero ragazzina. Questa frase continua a tornarmi in mente negli anni, ogni volta che volto una pagina, o che cerco di farlo, risuona, Rimmel diventa la colonna sonora, quasi il tormentone, delle mie fasi di transizione. Qualcosa rimane. Ho sacchi da immondizia condominale di quei qualcosa, un mare di coriandoli che descrive una vita. Alcuni leggeri come un soffione, altri pesanti come piombo.
Ogni tanto mi fermo, apro i cassetti della memoria e mi chiedo se vale la pena tenerli tutti quei ritagli-ricordi, se è mai possibile da quei frammenti costruire un quadro unico, una sintesi che descriva il tempo trascorso e quello che va. Come sintetizzare una vita che scorre? Non ha senso una media, tutto è troppo variabile, troppi picchi in alto e in basso, troppi salti in tutte le direzioni. Un disegno forse, magari di una traiettoria di un processo stocastico? oppure un algoritmo? Guardo meglio quel che ho tra le mani, quei frammenti, forse senza uno schema, non so come raccontarmeli. Somigliano ad una costa scogliosa, pieni di anfratti, rientranze, baie improvvise, dirupi e abissi, vette ripidissime e pozzi di buio.
Guardo e ancora guardo, lentamente, come per caso, comincio a vedere qualcosa. Esistono delle regolarità, delle similitudini impressionanti tra un frammento e l'altro. Esistono coazioni a ripetere, schemi sempre uguali, esistono tentativi di abbandono di questi schemi, magari li ho modificati un po' nella dimensione e nel colore. Eppure sempre internamente a quelli mi muovo, sempre la stessa forma, sempre lo stesso, in fondo noiosissimo, disegno. Guardo ancora e vedo che al centro c'è il mio inizio, poi un elemento alla volta, un frammento ogni giorno, nel tempo, negli anni, si delinea qualcosa di riconoscibile, ma non nel mondo ordinario, bisogna uscire fuori dalle geometrie usuali, fuori dal televisore-schermo di tutti i giorni (euclideo e bi-dimensionale). Di colpo, tutta quell'immondizia caotica prende una forma nella mia testa, finalmente è rappresentabile. Ora lo so, la mia vita è un frattale.


presa da qui

sabato 26 settembre 2009

Luci, Ombre

Certi periodi della vita sono notturni. Non perché andiamo in giro di notte e dormiamo di giorno, no sono notturni dell'anima. Una malinconia costante che riduce l'intensità della luce, una malinconia autunnale, preludio dell'inverno in cui finalmente sarà possibile riposare. A parte la metereopatia, le sindromi premestruali e gli anticipi di andropausa, che vengono invocati a spiegazione di codesto stato, di solito c'è un buon motivo che lo sottende. Per me è quasi sempre una combinazione di stanchezza fisica ed elaborazione di qualcosa di molto molto complicato, qualcosa che risiede al fondo dell'anima e da fastidio. In questi periodi è quasi sempre buona norma igienica starmi alla larga, è fondamentale non farmi promesse che poi non si possono mantenere con certezza perché le poche forze che ho si concentrano a reggere i miei pezzi, quindi in caso di buca, e peggio ancora di buca-con-acqua (cioè senza avviso di inadempienza) divento una tigre con denti a sciabola. Detto questo e scusandomi tra me e me con chi ho morso ultimamente (anche se non leggerà mai quel che scrivo qui), proseguo.
Ciò che sottende la malinconia presente è qualcosa che condivido (tanto per cambiare) con la mia mezza chimera gillipixel: l'essere effimeri. Lui diceva inutile, ma poi parla che ti ri-parla, la parola giusta è effimero/a. Quel senso di passare di qua senza lasciare traccia, scivolare tra le pieghe della vita senza che nulla resti, neppure il dna. Ti guardi intorno e proprio non ce la fai ad appassionarti a ciò che da un senso alla vita di molti, del gossip politico-televisivo non te ne frega proprio nulla, delle lotte intestine al luogo di lavoro a scopo carriera, ancor di meno. La polemica sinistra-destra ti sminuzza le palle o ti fa venire l'orchite (a scelta), tanto lo sai che sia come sia, dipende tutto dalla qualità delle persone che gestiscono il potere e non da quel che dicono che tanto è volatile. Famiglia non ce l'hai e quindi non hai responsabilità imprescindibili, vai, ti muovi sfiorando la vita degli altri, lasciando ai tuoi contemporanei briciole di amore e amicizia, anche qualche granello di saggezza, molli qualche sberla, raccogli altrettanto. Tutto assolutamente e totalmente impermanente.
Questo è in totale contrasto con ciò che mi ha nutrito sin dalla culla, un'educazione intera basata sul lasciare traccia di sé, o con le opere dell'ingegno o con quelle biologiche (figli). Bene, sul lavoro sono bravina ma non da nobel e figli non ne ho. Quindi sto tradendo l'anima stessa di ciò che mi è stato insegnato.
Poi mi fermo, chiacchiero con qualcuno, guardo i raggi del sole e di colpo mi rendo conto che le effimere sono anche insetti, farfalle ad esempio, e che sono bellissime.


presa da qui

domenica 20 settembre 2009

Chimere mistiche

Ci sono giorni in cui ti svegli, è presto, troppo. La sera hai bevuto un po', anche se è il fine settimana hai lavorato, continuerai a farlo anche se è domenica. La vita ti fa schifo, anche se ti svegliassi accanto a Brad Pitt lo troveresti orrendo, figuriamoci se ti svegli pure sola. Ti alzi. Metti su un bibitone di caffè. Fuori è grigio, silenzioso. Apri la finestra e il suono delle campane di Santa Maria Maggiore appena smorzato dalla distanza entra con forza, pervade ogni cosa. Guardi il cielo nuvoloso. Si apre uno spiraglio e i raggi del sole nascente sbucano tra le nuvole. Parte un altro suono, una voce che canta, una voce araba, una cadenza nota che si mescola alle campane. E' un muezzin che chiama la fine del Ramadan. Ed è anche Rosh Hashanah.
Guardo il sole rosso che esce dalle nuvole e penso che oggi dio ha molto da festeggiare e che canta a due voci. Una chimera mistica all'alba, a Roma, nella kasbah... sì lo so non dovrei bere la sera.

sabato 19 settembre 2009

U2 - Beautiful Day

Oggi me lo do come augurio che proprio ne ho bisogno

domenica 13 settembre 2009

Per amore e per ....




Premessa:
Ultimamente mi accade che dalla lettura di London Alcatraz e dai commenti ai post mi giungano ispirazioni ispirate. Anche questo post ivi colse ispirazione. Sentitamente ringrazio.

Racconto: Ad un certo punto della mia vita ho molto amato (e per lungo tempo) un musicista. Non uno "normale", chesso un chitarrista sanguigno e rocckettaro, un debosciato bassista con il mito di Sid Vicious o un batterista con l'aspetto di John Belushi e la sensibilità di un traghetto della Tirrenia. No, io ho molto amato un compositore di musica elettronica. Attenzione non quella alla Depeche Mode, no sia mai! quella rischia di vendere! Egli, nel più meraviglioso stile del vero artista d'avanguarde scriveva musica elettronica sperimentale, musica seria, ma seria seria. Quando lo conobbi io sapevo di numeri, di lingue estere, di letteratura varia e di innumerevoli altre cose, ma non sapevo (e non capivo) una beneamata mazza di musica elettronica contemporanea. Certo è roba di nicchia, mi diceva lui, cose a cui bisogna educare l'orecchio, mi spiegava. Ed a questa mia educazione si dedicò con grande impegno. Ora voi dovete sapere che la Farlocca, quando innamorata, raggiunge l'apice assoluto della sua farloccaggine. Ella, mediamente considerata donna razionale e abbastanza intelligente, riesce a fare, dire e pensare qualunque cazzata in nome dell'amato bene. E il musicista, l'ho detto, molto lo amai. Quindi di buon grado, anzi con entusiasmo, accettai di essere educata.
La mia educazione prevedeva spiegazioni, ascolto guidato in privato (f a v o l o s o dal mio punto di vista per come andavano poi le cose finita la musica...), andare ad ascoltare concerti, vedere piece teatrali sonorizzate dai grandi del momento. Prevedeva però alcuni salti mortali con carpiato e avvitamento da parte mia. Innanzitutto i concerti "migliori" li facevano in posti come il Goethe Institut di Roma dopo le 21 nei giorni feriali. Immaginate la Farlocca che dopo otto-10 anche 12 ore di lavoro, si catapulta in moto, prima a prelevare il musicista che sta a un milione di chilometri (dato il traffico di Roma), lo carica e, trasformata in Medusa dal casco, catapulta se e l'amato all'altro capo della città, entra in una bella sala, con delle sedie scomodissime, dure e con la seduta in plastica, in larga parte occupate da esangui signorine in nero, esangui signorini in nero, alcuni palesemente tedeschi, altri palesemente romani, ma sempre esangui e in nero. Normalmente la Farlocca non è per nulla esangue e non veste totalmente in nero, neanche ai funerali è così in nero. La sensazioni principe è dunque l'Imbarazzo (con maiuscola); è fuori luogo la discente, è evidentissimo, anche la dimensione delle tette non si addice al luogo.
Puntualmente ella si accascia sulla sediolina scomoda e si dispone all'ascolto. Ripassa mentalmente le lezioni dei giorni precedenti, dove ha imparato di tutto sulla musica non-armonica, sull'elettronica usata per produrla (e lì almeno si è veramente divertita un sacco appagando la sua anima nerd), ora però, nonostante l'amore e la buona volontà, hanno abbassato le luci e dagli altoparlanti escono dei sussurri, su di un video gigante si muove un film muto risonorizzato e ... Farlocca si addormenta. In quegli anni ho sviluppato tutte le infinite abilità del dormitore angolare di fantozziana memoria. Ammetto che il sonno mi travolgeva sopratutto sui film muti risonorizzati e in corrispondenza dei compositori tedeschi. I latini li apprezzavo molto di più, francesi, italiani e spagnoli, di solito, proponevano cose dalle quali uscivo senza sentire la voce di Aldo Fabrizi con il basco nero nella parodia del regista d'avanguardia che mi ripeteva "boh ma c'ho visto?".
Altra situazione di difficile digestione erano le retrospettive-omaggi ai grandi compositori del passato (cioè morti l'altro ieri), i pionieri di ciò che si fa adesso. Devo ammettere che il mio orecchio si adeguava bene alla musica contemporanea, esultava con il resto di me in incontri di Scienza e Musica, si estasiava ad ascoltare Michelangelo Lupone che raccontava delle ricerche che conduceva con i fisici dell'Università dell'Aquila sulla trasmissione del suono nei materiali creando sculture di metalli vari e suoni. Ma proprio non ce la facevo con le ricerche sulla dissonanza degli anni '60-'70 del secolo scorso e la musica microtonale (cfr G. Scelsi). Immaginate un quartetto d'archi, bello, sistemato sul palco, silenzio assoluto assoluto intorno, i musicisti accostano le mani agli splendidi strumenti e strappano simultaneamente le corde mentre qualcosa produce il suono di un gesso che stride sulla lavagna. E' un dolore fisico, un tormento che nemmeno l'innamorata più imbecille riesce a sopportare. "Cazzo ma mi potevi avvertire che era così stasera?" gemevo con le mani sulle orecchie "Così come?" mi rispondeva l'amato con aria un po' sorpresa. Roba che Penderecki al confronto sembrava Patty Pravo.
Ho però visto e ascoltato anche meraviglie. Magari non nel massimo confort, chesso, spettacolo di musica e teatro in chiesa sconsacrata (e piena di buchi) a Roma a gennaio (-2 gradi Celsius). Due giorni di reclusione in un casale umbro per ascoltare canto armonico, non si poteva fumare da nessuna parte, facevo delle belle passeggiate nel gelo novembrino per i campi per mettere a pari il tasso di nicotina. E via così. Sì perché bisogna capire una cosa importante: il compositore di musica colta moderna è nato per soffrire, se è di buon umore, se ride, se mangia e fa sesso con allegria, poi come lo dice nel suo linguaggio d'arte?

giovedì 10 settembre 2009

Chimere internettiane


disegno preso da qui
Qualche tempo fa, in uno sgangherato scambio di email in cui, io evidentemente scrivevo in turco e l'altro in aramaico antico (dato il livello di comprensione reciproca) , mi è stata proposta un'idea a dir poco straordinaria: farlocca e gillipixel sono la stessa persona.
La mia risposta fu particolarmente incazzata a quella email, ma non per l'idea suggerita, bensì perché mi si chiedeva di provare che così non era, che io ero una femmina e non il certamente maschio gillipixel. Mi urto sempre quando mi si chiede di dar prova di qualcosa, sopratutto se lo si fa in aramaico antico con commenti da taverna del Giurassico anteriore.
Ma l'idea di me e del mio amico gilly come bicefala (chissà forse pure tricefala) chimera internettiana continuava a ronzarmi nella testa/e. Il neurone agiva, creava scenari, immagini e ragioni per giustificare e vitalizzare codesta straordinaria creatura. Ecco effettivamente delle affinità, elettive o meno, tra me e il gatto di romagna ci sono. Condividiamo il segno zodiacale (sfigato), certo lui ama tex willer e io l'uomo ragno, ma sempre giustizieri sono, sempre un po' super-qualcosa sono. Tex parla tanto, Spiderman meno, ma dice l'essenziale. Amiamo le parole, è un amore rivolto al comunicare per iscritto, al condividere il viaggiare della mente tra le parole impresse, scritte e quindi un po' più permanenti di quelle dette. Ne abbiamo rispetto e timore delle parole scritte, se scrivo una cazzata, be' è lì, resta, domani c'è ancora.
La musica poi; là ci troviamo spesso a farci compagnia, una lacrimuccia su un Beatles d'annata o su un REM particolarmente coinvolgente. Ecco be' lui si squaglia per Kundera ed io per Pessoa, ma in fondo siamo due anime in codesto corpo bicefalo, va bene così, dato che poi c'è sempre Murakami che ci unisce.... insomma ai voglia ad elencare.
Poi ho cominciato a leggere i nostri post e i reciproci commenti in quest'ottica e sono nati tre personaggi leggermente psicotici:
  1. Lo scrittore versatile: è il più sano della lista. Ama scrivere, adora l'esercizio di stile, il fluttuare tra una dissertazione dotta e una lisergica frullata delirante, tra un commento amorevole ad una foto ed un inno al piede scalzo. Lo scrittore versatile ama indossare panni variegati, ama l'inganno, l'ambiguità. Oggi si sveglia femmina e miagola, occhieggia tra le righe mostrando una tetta virtual-letteraria. Domani apre mascolinamente gli occhi e mostra il bicipite letterario, lanciandosi in un braccio di ferro all'ultimo sangue con il gatto del vicinato. Maschiamente registra la vittoria sulla razza felina in un elegante post. Poi sguscia rapido/a e scodinzola, tra citazioni zen e fumettistiche, lanciandosi in descrizioni viaggianti, vagheggiando di altre epoche in cui, viaggiatore-trice del mondo e dell'anima, passava dalle rive del Po a New York, passando per Roma. Chissà, magari viaggiando su di un cargo battente bandiera panamense.
  2. Il commentatore onanista: la chimera internettiana scrive post, li mostra in vario stile, contenuti ampi, eleganti e non, cazzeggi senza freni o quasi, gestisce più blog, con sapiente intercalare. E sopratutto adora auto-commentarsi. La chimera è totalmente schizofrenica. A volte scrive e poi s'incazza con quanto ha scritto e allora giù segoni mostruosi tra botta e risposta senza limiti. Altre volte si legge e si ama, si adora quasi. "Miodiocomesonopoetico/a" (ha sempre problemi di genere nel pensarsi) e allora se lo dice, se lo scrive con amore, con tenerezza, ironizza miagolando e facendo le fusa. Si manda anche i bacini da solo/a. Crea dialoghi con terze parti oracolari della cui esistenza non si ha certezza. Una sorta di i-ching in versione parolaia (mi perdoni il vero oracolo per l'indegno parallelo) che lo/a ispirano nel suo schizoide intercalare. Va poi a spasso per i blog altrui, commentando ora con un'identità ora con l'altra, ma sempre strizzandosi l'occhio. Si ama il commentatore, si auto-cita, tanto lo sa solo luilei con e di cosa parla.
  3. Il trans internettiano: è strettamente legato allo scrittore versatile ma sta un po' peggio. Infatti è un lui-lei che non ha i soldi per l'operazione e tutta la trafila. E' un uomo in corpo di donna e/o una donna in corpo di uomo, ma è poverissimo/a e molto bacchettone, quindi di battere per alzare i soldi per il cambio di sesso non se ne parla. Lo/a hanno portato/a da i migliori specialisti della psiche, amici amorevoli hanno fatto collette immani per farlo parlare con questa gente, ma no, nulla da fare. Luilei vuole cambiare sesso. Gli amici la colletta per l'operazione non la vogliono fare e allora hanno un'idea: viviti la tua ambigua sessualità, vivi il tuo doppio genere, crea due blog, due identità e vivi per iscritto la tua doppia vita. Da quando lo fa sta molto meglio e si vuole molto più bene, riesce anche a lavorare ed è meno povero/a, magari un giorno si farà l'operazione.
Mi piace la chimera che può oggettivamente esistere qui. Noi moltitudine possiamo, qui, avere spazio, nella rete siamo a nostro agio, esistiamo finalmente senza costrizioni. Lasciamo ad altri il compito di viverci e indovinarci per ciò che siamo o ciò che potremmo essere. Vero gilly?

martedì 8 settembre 2009

Il rinfanciullitore farloc-pixico




accendi il moto-rinfanciullitore (da un poetico cazzeggio rievocatore con gillipixel)

domenica 6 settembre 2009

Regressioni musicali: The Clash - Rock The Casbah

Certi giorni ti svegli e da qualche parte nella testa il tempo è tornato indietro....

domenica 30 agosto 2009

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Ritorno. Dopo parecchi giorni di vita nomade a bordo di ogni mezzo di trasporto possibile, mi reimmetto nell'affollamento romano. Il rumore, la gente, gli odori e le puzze della città mi costringono a prendere atto che è tempo di ritornare alla vita "normale". Il guaio è che da un po' di tempo in questa "vita normale" non ci sto più comoda. Durante tutta l'estate mi sono sentita bene solo quando avevo un biglietto di viaggio per andare da qualche parte o seduta sullo scooter mentre andavo da qualche parte. Il perdersi felicemente tra le onde, l'andare per strade vuote nell'interno della Sardegna o il visitare amici in giro per l'Italia, sono stati tutti modi per rimandare questo momento. Uno di quei momenti in cui ti svegli, ti alzi dal letto, vai in bagno con gli occhi ancora semi-chiusi, ti butti un po' d'acqua in faccia, guardi l'immagine nello specchio. La conosci quella tizia lì, ne sai ogni ruga, ogni piega, ogni espressione, vi frequentate da anni (tanti), ne avete fatte di cose insieme... C'è poco da girarci intorno, la mattina nessuna delle due riesce a mentire, è arrivato il momento.....



lunedì 10 agosto 2009

Mare Mare

Siore e Siori, inclito pubblico di passaggio, codesto blog va al mare. Inforca lo scooter e sparisce, per un po'. Senza computer, senza internet e forse spegne pure il cellulare. L'unico scopo, l'unico vero desiderio della scrivente Farlocca è: perdersi nel blu del mare e rigenerare i neuroni.

sabato 8 agosto 2009

Del potere allucinogeno dei fondamentalisti


presa da qui
Premessa: questo racconto-ricordo me lo ha evocato questo post (e successivi commenti) di London Alcatraz.

Siamo ai tempi del mio dottorato. Sono in Italia e sto portando avanti un lavoro con due tutor, uno nelle terre patrie e uno negli USA. Quest'ultimo mi convoca oltre oceano nonostante io faccia resistenza, durante l'anno ho fatto avanti e indietro così tante volte che la sola idea di un altro viaggio aereo mi fa vomitare. "Farlocca è necessario che tu venga, c'è il mega-convegno-internazionale qui, è una grande occasione e tu devi presentare il nostro lavoro. Serve anche a convincere i colleghi che vale la pena averti qui da noi per un po'... e poi il tuo fidanzato è a New York, così lo vedi e il biglietto lo pago io..." peccato che di vedere il fidanzato non mi va, peccato che il luogo del mega-convegno-internazionale è praticamente il buco del culo del mondo spostato sui monti Appalachi. Chino la testa e salgo in aereo. In fondo sono l'unica scontenta, il fidanzato è tutto allegro, il tutor italiano anche (e vai mi si leva di torno per un po', lo visualizzo mentre danza dato che non gli sono mai stata simpatica) e il tutor americano è il più contento di tutti (siamo ancora grandi amici) visto che dei tre è forse l'unico che mi apprezza e mi vuol bene davvero. Arrivo a New York, sto un paio di giorni, affitto una macchina e parto. Siamo a maggio, a Roma fa caldo, a New York è tutto fiorito, ma sui monti Appalachi siamo all'inizio del disgelo. Guido tra chiazze di neve sporca, alberi spogli e una natura che comincia appena a stiracchiarsi uscendo dal letargo invernale. Dopo 5 ore di guida a velocità legali (50 miglia orarie all'epoca) arrivo nel già citato buco-del-culo-del-mondo. Mi reco alla sede del convegno, mi registro, sorrido a tizio e caio, abbraccio con calore e gioia il mio tutor americano e vado a posare i bagagli in un orrido motel poco lontano. Sì orrido, uno di quei posti da 15 dollari a notte che erano pochi pure per l'epoca. Un coso a moduli prefabbricati, con copriletto in ciniglia (lisa) arancione, moquette a fiori macchiata al punto che del colore originale si è persa notizia, specchio sbreccato, mega-letto al centro della stanza con televisore (decrepito) che domina ogni cosa (ci vuol poco dato che la stanza è sostanzialmente un loculo). Ho poco da mugugnare, sono un'infima studentessa di Phd non posso sperare in nulla di meglio. Mi reco alla conference hall e mi immergo nella scienza. Fa un freddo cane fuori e dentro un caldo infernale, come sempre negli Stati Uniti. Al secondo giorno comincio a starnutire, devo presentare il lavoro il terzo giorno, incrocio le dita e prego gli dei tutti di limitarsi ad un raffreddore nel punire i miei molti peccati. Non mi ascoltano. Il terzo giorno ho la gola in fiamme, gli occhi che lacrimano e mi gira la testa. Rantolo fino alla sala seminari dove devo presentare. Il mio tutor mi vede e si preoccupa, tossisco una rassicurazione e procedo. Riesco a presentare senza fare troppo schifo, rispondo alle domande tossendo e starnutendo. La tortura finisce e mi accascio su di una sedia. Il tutor, padre di famiglia, arriva mi sente la fronte e scuote la testa "no, not good at all... you need a doctor..." scuoto la testa, non se ne parla proprio, voglio solo dormire dico, vedrai che passa tutto. Il problema vero è che nel giro di due giorni devo risalire in macchina e tornare a New York. Là dovrei anche vedere della gente della Columbia University con la quale abbiamo da finire delle cose.
Rotolo alla macchina, sto uno schifo, parto e mi fermo ad un drugstore. Acquisto 2 cartoni da 2 litri di succo di arancia, qualcosa da mangiare, aspirine, vitamine e un termometro. Torno all'orrido motel. Mi stendo sul letto bevendo succo d'arancia, mi sento davvero male, il termometro segna 102... dopo un iniziale infarto mi rendo conto che è in farenheit e non in gradi celsius, bene significa che ho quasi 39 di febbre. Manciata di aspirine, accendo il televisore e comincio a fare zapping. Mi addormento immediatamente. Il sonno è agitato, mi muovo nel letto, rotolo, sudo, tossisco. Ad un certo punto una voce mi esplode nelle orecchie: "Hell is waiting for you!!! Sinners, confess to Jesus.... " (l'inferno vi aspetta!!! peccatori confessate a Gesù..) dallo schermo un tizio in giacchetta azzurro intenso, capello phonato biondo e cerone a tonnellate, urla verso di me. Ora punta anche un dito che sembra riempire tutto lo schermo "You, I'm talking to you!!!" (tu, sto parlando con te!!) e grida contro la mia blasfemia, il mio ateismo-giudaismo-comunismo-sarcazzochealtro.... Nel fumo cerebrale della febbre non mi rendo conto immediatamente di cosa sia successo, resto un po' lì con gli occhi sgranati, il copriletto di ciniglia tirato su fin sotto al mento e scuoto la testa come a negare ogni addebito. Visioni dantesche riempiono la mia testa febbricitante, lingue di fuoco lambiscono la moquette zozza e certamente tra un attimo mi avvolgeranno riducendomi in cenere. Poi un pensiero penetra tra le circonvoluzioni neuronali un po' abbrustolite, è come una brezzolina fresca: "Ma che cazzo vuole da me questo? chi lo conosce? perché fa così caldo qua dentro?". Lentamente un barlume di coscienza si fa strada. Mi rendo conto che, nel mio rotolare febbricitante, sono finita sul telecomando e ho cambiato canale, ora sto vedendo uno di quei programmi di predica che una stazione televisiva cristiano-fondamentalista trasmette a ciclo continuo. Ridacchio sollevata mentre il tipo phonato continua ad esortarmi ad abbracciare Gesù. Questo però ancora non spiega la temperatura tropicale della stanza. Sono debole e prima di esplorare l'impianto di riscaldamento (chiaramente prodotto nel Giurassico) misuro la mia di temperatura: 100 ovvero circa 38 celsius. Bene sto migliorando. Mi alzo, zittisco il predicatore, comincio a smanettare l'impianto di riscaldamento che emana onde al calor bianco. L'aggeggio emette un singulto, un semi-rutto, tremola e succede qualcosa: smette di funzionare. Guardo l'orologio sono le 8 di sera, ho dormito quasi tutto il giorno. Le gambe non mi reggono e la testa mi rintrona come un tamburo. Chiamo la reception e una voce mi comunica che "we are very sorry, but we have no way to fix it before tomorrow morning, the janitor just went home" (sono molto spiacenti ma non hanno modo di aggiustarlo prima di domani mattina, l'addetto alla manutenzione è appena andato a casa). Chiedo coperte extra, arrivano, il motel è pure pieno. Mi incarto come Tutankamon e scivolo nell'incoscienza con lo stomaco pieno di aspirine e un po' di cibo. Domani è un altro giorno e si vedrà.

In conclusione a New York ci tornai grazie ad un sintomatico potentissimo, che mi permise anche di tornare in Italia ed avere una conversazione semi-lucida con quelli della Columbia. Arrivata a Roma però il malefico virus che si era impadronito di me, ritornò alla carica e mi costrinse a letto per dieci giorni con frequenti incubi da predicatore-phonato.