Visualizzazione post con etichetta foto di sandro. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta foto di sandro. Mostra tutti i post

domenica 8 marzo 2009

Aspettando il sole dell'estate


Foto di Sandro B.
La temperatura comincia a salire, mentre l'umidità che sento nelle ossa è al suo massimo annuale; allora, oggi, cerco il sole nelle immagini salvate sul computer. Guardo le linee nette disegnate dagli occhi di Sandro in questa inquadratura. Le colonne evocano il calore, le pietre del foro roventi in piena estate, il cielo senza una nube in quei momenti dell'anno in cui, invece, ce le vorremmo vedere. Immagino i passi sulla via Sacra, lo sguardo che vaga tra le rovine mentre le cicale, sul Palatino, sovrastano il rumore di fondo del traffico. Vedo i turisti accaldati che commentano bevendo da bottigliette di plastica, i falsi centurioni con telefonino, mezzo abbronzati sotto gli elmi di latta, i gatti acciambellati all'ombra dei muretti, quasi sento sulla pelle il calore che deve ancora tornare. Ricordo il giorno estivo che si stempera nel fresco della sera, nel vento di ponente che arriva e accarezza i tetti di Roma, indugiando solo per un momento sul Colosseo mentre il sole se ne va a dormire.

Le sere blu d'estate, andrò per i sentieri
graffiato dagli steli, sfiorando l'erba nuova:
ne sentirò freschezza, assorto nel mistero.
Farò che sulla testa scoperta il vento piova.
Io non avrò pensieri, tacendo nel profondo:
ma l'infinito amore l'anima mia avrà colmato,
e me ne andrò lontano, lontano e vagabondo,
guardando la Natura, come un innamorato.
(Arthur Rimbaud, Sensazione)

domenica 22 febbraio 2009

Immobilità


Foto di Sandro B.
Statue, corpi immobili. Tensione di muscoli colti nell'atto di contrarsi, striature di movimento ricamate sulla pietra. Come un gioco di scatole cinesi, una foto di una statua è rappresentazione immobile di altra immobilità.
La guardo e per contrasto penso alla mia continua necessità di movimento, alla claustrofobia che l'immobilità a volte mi genera. Eppure so stare ferma, fisicamente immobile anche per molto tempo, il mio record è stato 40 minuti. Dopo tutta quella stasi avevo difficoltà a muovermi di nuovo, ma c'ero riuscita, svuotando la mente dai pensieri, sentendo solo il respiro, ero rimasta ferma senza nessun panico, senza nessuna ansia. Una sensazione bellissima.
L'immobilità diventa sofferenza, soffocamento solo se è contrasto al movimento. Al movimento dei pensieri in particolare, la mente si muove e il corpo vuole seguirla. Non c'è separazione tra corpo e mente, se una va l'altro segue e spesso accade anche il viceversa, il corpo conduce la mente in qualche luogo che lei ancora non conosce, che non ha nominato. In questa altalena di chi tira e chi segue, entra poi la paura di quelle pause profonde che a volte non sappiamo fare nemmeno dormendo. Diventare statue, anzi foto di statue, ottenendo quella doppia immobilità, sia del corpo che della mente ci fa sentire troppo vicini alla morte. Eppure esiste una qualità della mente che ci può permettere di essere statue e al tempo stesso capaci di muoverci rapidissimi, estremamente vivi, è una qualità di quiete, di assenza di dialogo interno, l'omino interiore tace, nessuno parla. Quella qualità si realizza quando mi limito, anzi no, sono capace di sentire soltanto.

Segui la tua sorte,
annaffia le tue piante,
ama le tue rose.
Il resto è l'ombra
d'alberi stranieri.

La realtà
è sempre di più o di meno
di quello che vogliamo.
Solo noi siamo sempre
uguali a noi stessi.

Dolce è vivere solo.
Grande e nobile è sempre
vivere con semplicità.
Lascia il dolore sulle are
come offerta agli dèi.

Guarda la vita da lontano,
e non interrogarla mai.
Nulla essa può
dirti. La risposta
è al di là degli dèi.

Ma serenamente
imita l'Olimpo
nel segreto del tuo cuore.
Gli dèi sono dèi
perché non si pensano.
(Fernando Pessoa)

lunedì 9 febbraio 2009

Requiem


Foto di Sandro B.

Quando finisce il tempo di qualcosa o qualcuno si dicono tante cose, la foto di Sandro mi evoca in particolare un modo dire che da il senso del definitivo nella nostra cultura a base cattolica: metterci una croce sopra. Seppellire qualcosa, qualcuno, lasciare andare, quando arriva il momento. Non subito, mai subito. Nessuno ci riesce subito. Il Libro tibetano dei morti dice che ci vogliono 40 giorni alle anime dei morti per andarsene davvero. Quanto ci mettiamo noi per lasciare andare qualcosa che è morto? Quante volte ci aggrappiamo anche solo al ricordo pur di non lasciar andare?
Con mia madre ci ho messo anni, una notte l'ho sognata, dopo tanto tempo, erano passati 5 anni dalla sua morte, mi disse "lasciami andare, per favore". Ed io l'ho fatto. Era arrivato il tempo, il mio tempo per far questo.
Altre cose, più immateriali delle persone non riusciamo mai a lasciarle andare. Un torto subito, un dolore vissuto, un'umiliazione. Continuano a restare, ad aleggiare su di noi, dentro di noi, continuando a condizionare ogni gesto, ogni parola, anche se noi non pensiamo sia più così. Accade che ci si convinca di essere "andati oltre" un'esperienza che ci ha segnato, per poi scoprire di averne solo bloccato gli effetti. Il bloccare un'emozione però non è funzionale, se c'è dolore va vissuto, se c'è gioia va vissuta tutta, se c'è paura anche quella va vissuta. Se blocchi si forma come una pietra, inizialmente piccola, poi, come il grano di sabbia nell'ostrica, comincia ad attrarre altri granelli, diventa sempre più pesante, diventa tensione, e quindi diventa dolore fisico, reale malessere, magari un ginocchio che ci molla o un'articolazione che si infiamma, o altro. Un'emozione bloccata è una bomba ad orologeria dentro di noi.
Ecco con questo non voglio dire che se-mi-incazzo-esco-e-meno-qualcuno o sono addolorata, allora prendo il megafono e urlo ai quattro venti il mio sentire, così non mi si forma tensione interiore, no, non è questo, è solo accettare di vivere dentro di sé ciò che accade, questo prima di poterci davvero mettere una croce sopra.

La morte è la curva della strada,
morire è solo non essere visto.
Se ascolto, sento i tuoi passi
esistere come io esisto.

La terra è fatta di cielo.
Non ha nido la menzogna.
Mai nessuno s'è smarrito.
Tutto è verità e passaggio.
(Fernando Pessoa)

lunedì 2 febbraio 2009

Residui


Foto di Sandro B.

Produciamo scarti, residui del nostro vivere che abbandoniamo in luoghi improbabili. Sono oggetti che abbiamo desiderati, ottenuti e poi consumati fino a stancarcene o a loro consunzione. Cose che escono dal nostro quotidiano e vanno disperse in angoli della città poco frequentati. Là restano, come in attesa di essere riesumati, riaccolti tra gli umani che li hanno generati. Aspettano, il tempo passa, loro sono lì e lentamente diventano parte del paesaggio. Un acquedotto, una vecchia auto, un copertone, un pezzo di statua diventano coreografia urbana. Decadente, malinconica coreografia che ricorda il ballo naturale del nostro desiderio, che sempre, invariabilmente, prima cerca affannosamente, poi consuma e quindi abbandona. Per l'oggetto dimenticato l'attesa non è vana, qualcuno passa, occhi capaci guardano e sanno e colgono quel frammento di bellezza sospesa che nel fluire delle cose si è creato.

Nel mondo, solo con me stesso, mi lasciarono
gli dèi che decidono.
Niente posso contro di loro: ciò che mi danno
accetto senza obiezioni.
Così il grano si piega al vento e, quando
il vento cessa, si erge di nuovo.
(Fernando Pessoa da Odi di Ricardo Reis)

martedì 20 gennaio 2009

Al sole


Foto di Sandro B.

Guardo questa foto di Sandro. Oggi mi emoziona. Quella sedia lì nel sole, mi da un senso di pace, di quiete. Mi vorrei sedere lì, a fare il gatto anzi la gatta (non sbagliamoci sul genere!), a godermi il calore del sole sul pelo appena arruffato dal vento. Su quella sedia un po' sghemba, con la paglia sfilacciata dal mio rifarmi le unghie. Immagino una giornata d'inverno in cui splende il sole. La temperatura fresca, ma al sole si sta bene. Giro un po' su me stessa, come a verificare la consistenza della paglia, la pulizia del punto, un rituale di accoccolamento necessario per trovare pace, per appropriarmi del luogo. Poi mi siedo e mi acciambello portando il muso sulle zampe già piegate, la coda a scaldarmi il naso, socchiudo gli occhi per filtrare la luce e proteggerli dal vento. Resto là seduta per qualche tempo.
Una nuvola copre il sole, la temperatura scende. Meglio entrare allora. Mi alzo, stendo le zampe anteriori e inarco la schiena stirando i muscoli con la coda che punta verso l'alto. Alzo una zampa e la stiro, alzo l'altra e stiro anche quella. Con uno sbadiglio arruffo il pelo, poi salto giù e mi avvio verso casa regina incontrastata di un momento di pace.

Gatto che giochi per via
come se fosse il tuo letto,
invidio la sorte che è tua,
ché neppur sorte si chiama.

Buon servo di leggi fatali
che reggono i sassi e le genti,
hai istinti generali,
senti solo quel che senti;

sei felice perché sei come sei,
il tuo nulla è tutto tuo.
Io mi vedo e non mi ho,
mi conosco, e non sono io.
(Fernando Pessoa)

mercoledì 14 gennaio 2009

Degli sgambetti e dell'essere adulti*


Foto di Sandro B.
Mi sta capitando sempre più spesso di parlare, argomentare e discutere su di un tema un po' speciale: le reazioni violente, in particolare, nelle interazioni tra umani. Mi spiego. A volte le persone, la vita, sembrano intervenire su di noi "a gamba tesa", ci fanno lo sgambetto o così a noi pare. Questo tipo di eventi, mediamente, provoca dolore, frustrazione e sopratutto rabbia.
Molte delle persone con cui mi è capitato di "argomentare" sul tema sostengono il loro diritto alla reazione violenta, ad incazzarsi, a mandare a.. o di qua e di là chi "provoca" il sentimento di dolore, frustrazione o malessere con il suo sgambetto. Incitano me, in situazioni simili alle loro, a reagire rompendo gambe, oggetti o quant'altro capita. Io, però, non sono quasi mai d'accordo. E' vero, anche a me è successo di provare rabbia e furore e desiderio di vendetta per degli sgambetti o simili, ma più passa il tempo e meno sono le situazioni che classifico come "sgambetti" e a cui mi sembra giustificato reagire con rabbia.
Prendiamo uno dei casi sui quali ho discusso di più con amiche e amici. La situazione in cui ci si innamora, si sale sul carro in due e l'altro, ad un certo punto, dichiara di voler scendere. Ora se questo ipotetico altro non ha millantato amore eterno, non ha giurato fedeltà fino alla morte, non ti ha fatto indebitare fino agli occhi per traslocare/aiutarlo/fare-il-giro-del-mondo, e poi neanche restituisce celermente il denaro, ma è semplicemente salito sul carro dicendo "va bene vengo, stiamo a vedere che succede" e poi scende, magari anche rapidamente, cosa c'è da incazzarsi con furia ed ira funesta?
L'innamoramento è, quasi sempre e sopratutto se molto repentino, una nostra personale costruzione, un nostro desiderio di sederci sulla nuvoletta rosa e lasciarci andare, sentirci come bimbi ed affidare tutto di noi a qualcuno come se avessimo 3 anni. Dato che quelli con cui parlo ,di solito, di anni ne hanno più di 40, questo modo di fare mi sembra leggermente fuori tempo. Innamorarsi da adulti è sì salire sulla nuvoletta rosa, ma ricordando che di nuvoletta trattasi e non di realtà assoluta. Se poi, l'altro, molto prudentemente, dice "calma però, ognuno ha i suoi tempi e la sua storia appresso" a magior ragione la nuvoletta è di vapore. Per darle consistenza bisogna avere pazienza e consapevolezza, sapere che può dissolversi in ogni momento, che ha degli alti e bassi, che a volte da rosa si fa nera. Così se la mia nuvoletta si dissolve, non mi incazzo, non posso proprio. Posso essere triste, anche molto, posso non condividere le motivazioni e le ragioni addotte per andar via, per non partecipare più (dicevasi al post precedente che ci vuole coraggio in certe cose), ma non incazzata. Anzi, riconosco all'altro il sacro santo diritto (quasi dovere) di ritirarsi se sta scomodo, se la mia (e sottolineo mia) costruzione non gli piace, la trova stretta o quant'altro, se non vuole modificarla insieme facendola diventare nostra, è cosa buona e giusta che se ne vada.
Certo se per andarsene prende il caterpillar e mi passa sopra, appena raccolgo i miei cocci e li rincollo, lo vado a cercare per mandarlo all'ospedale (vedasi post vecchi sull'excompagno per l'uso del caterpillar in questi casi, giuro che però non l'ho mandato all'ospedale, ma solo per paura delle conseguenze penali). Se così non è, se con tenerezza e anche dolore, scende, lo rispetto e continuo a volergli bene, ad essergli grata per ciò che ci si è scambiato, lascio aperta una porta, magari un portoncino, per potersi riparlare/trovare prima o poi.
Insomma gli sgambetti ci sembrano spesso tali perché distruggono una nostra proiezione, un nostro sogno, un'idea preconcetta del reale che con quest'ultimo non ha niente a che fare.

Ecco guarda caso quando dico queste cose un sacco di gente si incazza con me...

Nella strada piena di sole vago ci sono case immobili e gente che cammina.
Una tristezza piena di terrore mi gela.
Presento un avvenimento dall'altra parte delle frontiere e dei movimenti.

No, no, questo no!
Tutto, salvo sapere cos'è il Mistero!
Superficie dell'Universo, oh Palpebre Calate,
non vi sollevate mai!
Deve essere insopportabile lo sguardo della Verità Finale!

Lasciatemi vivere senza sapere niente, e morire senza venire a sapere niente!
La ragione che ci sia essere, che ci siano esseri, che ci sia tutto,
deve portare a una follia più grande degli spazi
fra le anime e le stelle.

No, non la verità! Lasciatemi queste case, questa gente,
proprio così, senza nient'altro, solo queste case e questa gente...
Quale alito orribile e freddo mi tocca gli occhi chiusi?
Non li voglio aprire per il vivere! Oh Verità, scordati di me!
(Fernando Pessoa Demogorgone)

*dedicato ad M. che mai leggerà questo post, che tanto me ne ha voluto e che, su queste cose, tanto si è incazzata senza mai capirci un tubo

giovedì 8 gennaio 2009

Geometrie

Foto di Sandro B.

Ci sono giorni che si sviluppano con precisione geometrica. Fai una lista mentale delle cose da fare, parti e tutto prende il suo posto. Luci e ombre si muovono dove dovrebbero, le cose da fare si fanno, ogni cosa va al suo posto. Alla fine della giornata la lista è stata completata eppure non ti senti soddisfatto/a. Che abilità hai messo in moto? Quali ostacoli hai superato? La competizione interna con te stesso segna un pareggio.
Dall'altro lato della scala ci sono i giorni in cui parti con una lista di cose da fare, magari anche scritta, perché se no ti scordi qualcosa che è troppo lunga, e non c'è nulla che vada al suo posto. Il mondo intorno sembra sviluppare una inspiegabile malevolenza nei tuoi confronti, la Legge di Murphy domina ogni evento, piove anche, a catinelle, e tu sei in giro in moto o a piedi, dopo qualche ora sei bagnato/a, stanco/a, inveisci contro l'universo. La lista è lunga, la battaglia ardua, quasi disperata. Ti guardi intorno e vedi solo immani colonne di indifferenza che ti sovrastano, la luce scende di traverso, ti illumina ed evidenzia la tua pochezza di fronte agli elementi. Tra quelle luci ed ombre evidentemente ostili, riesci a malapena a completare un paio di elementi della lista, magari anche un po' maldestramente, ma qualcosa porti comunque a casa. Arrivi così, varchi la soglia scuotendo l'acqua dai vestiti, ti togli le scarpe bagnate, ti cambi che l'acqua ha trovato vie misteriose per giungere ovunque, stacchi il telefono di casa, spegni il cellulare e sei finalmente felice. Ti sembra di esserti superato/a, in fondo sei ancora intero.

Quasi anonima sorridi
e il sole indora i tuoi capelli.
Perché per essere felici
È necessario non saperlo?
(Fernando Pessoa)

mercoledì 31 dicembre 2008

Anno vecchio, anno nuovo


Foto di Sandro B.
Il 2008 me lo vedo così, come la statua funebre nella foto di Sandro. Un dandy, un ottocentesco romantico personaggio di romanzo che viene a morire a Roma e si fa seppellire con gran pompa nel cimitero più bello della città (quello acattolico). Questo anno è stato un signore dai grandi eccessi, dalle grandi emozioni e dagli improvvisi cambiamenti, quindi non facilmente definibile. Non lo posso definire un anno di merda come detto da alcuni, perché nonostante ve ne sia stata molta, si è poi rivelata concime efficacissimo per grandi miglioramenti. Non posso dire che sia stato un anno bello, perché ho addosso una fatica enorme, fisica e mentale, che mi ricorda quanto mi è costato anche ciò che di bello si è realizzato. Non è stato un anno grigio questo. Neppure un anno monocolore, piuttosto direi un anno-caledoscopio. E' stato un anno di vita intensa e creativa, di grandi lacrime ed immense risate, è stato un anno di morte e resurrezione. E' stato un anno in cui ho un sacco di gente da ringraziare, un elenco davvero lungo, dalle amiche (e loro sanno), a maus, al quale devo l'insana idea di questo blog, ai lettori, assidui che commentano a voce o per iscritto, a Sandro che continua a fornirmi di bellissime foto ( ;-) ), agli amici che continuano a darmi allegria e affetto, agli altri blogger che ho incontrato di persona o virtualmente, dai quali imparo sempre qualcosa, alla zia che, pare strano, ma insegna molto pure lei... e la lista è così lunga che ci vorrebbero tre blog per scriverla tutta, ma in fondo chi è da ringraziare sa già che lo/la ringrazio.
E' quasi andato, insomma, questo 2008, ancora una manciata di ore e poi si cambia. Dunque lo saluto con rispetto, augurandomi, augurandoci un 2009 con immense risate e scarsissime lacrime, nonostante tutto.

Buon Anno

martedì 23 dicembre 2008

Raccoglimento


Foto di Sandro B.

Fuori il vento, il rumore del mare, le onde che frangono, il cielo grigio. All'interno silenzio. Pareti bianche che accolgono, santini e santi dorati, uno sfarzo povero condito di trine fatte a mano. Uno spazio minimo come solo le chiesette in riva al mare sanno descrivere. Guardo la foto, penso all'atto che la vecchia signora compie, un atto estraneo nella forma sia a me che a Sandro. Ma forse non è poi così estraneo nell'essenza. Un gesto di raccoglimento, un momento di isolamento dal mondo esterno alla ricerca di un contatto con qualcosa che, per alcuni, è divino e per altri, più terreni, è solo l'interno di sé. Penso ai rituali di raccoglimento che ciascuno sviluppa negli spazi che ritiene più consoni, una chiesetta, una panchina, un divano... In inverno è un raccogliersi nel calore, in estate un isolare i sensi dalla luce intensa, ma è anche camminare, è silenzio e sopratutto pace.

Ma io, sempre estraneo, sempre penetrando
il più intimo essere della mia vita,
vado dentro di me cercando l'ombra.
(Fernando Pessoa, Ma io, sempre estraneo)

lunedì 15 dicembre 2008

Romanzi metropolitani


Foto di Sandro B.
Il rumore del treno metropolitano parla di stanchezza. E' tardi, nessuno sale, nessuno scende. Il ritmo delle ruote suona a metà tra jazz e flamenco, culla, incanta. Una patina di nebbia, una sera invernale, una destinazione non nota. Guardo e immagino una vita, costruisco un piccolo film, uno sceneggiato (come si diceva una volta), con protagonisti stanchi e amareggiati, proletari da terzo millennio con un lavoro un tempo dignitoso. Esseri "normali" come quelli di un racconto noir che all'improvviso scatenano la violenza inesplicabile. Violenza senza senso, attivata dalla solitudine, dal grigiore dei giorni sempre uguali e maledetti.
Oppure un romanzetto rosa, l'uomo là seduto legge una lettera d'amore, chino su di essa immagina versi di risposta, scartabella tra le poesie che conosce per meglio raccontare un sentimento che lo invade. Amori da supermercato, tremori da fotoromanzo. E intanto il treno va e l'immaginazione si scioglie in sonnolenza, in nostalgia.

Durante tutto il viaggio la nostalgia non si è separata da me
non dico che fosse come la mia ombra
mi stava accanto anche nel buio
non dico che fosse come le mie mani e i miei piedi
quando si dorme si perdono le mani e i piedi
io non perdevo la nostalgia nemmeno durante il sonno

durante tutto il viaggio la nostalgia non si è separata da me
non dico che fosse fame o sete o desiderio
del fresco nell'afa o del caldo nel gelo
era qualcosa che non può giungere a sazietà
non era gioia o tristezza non era legata
alle città alle nuvole alle canzoni ai ricordi
era in me e fuori di me.

Durante tutto il viaggio la nostalgia non si è separata da me
e del viaggio non mi resta nulla se non quella nostalgia.
(Nazim Hikmet)

venerdì 12 dicembre 2008

Ara Pacis


Foto di Sandro B.

Immagini nelle immagini, riflessi di sacro nel profano. Il sacro della cupola ottiene le gambe del visitatore profano, con esse percorre la sala guardando l'esposizione di altre opere, ora profane ma un tempo anch'esse sacre. Chissà quando questa cupola perderà il suo stato di emblema e diverrà solo un oggetto nel cielo di Roma? L'altare nella teca ci ha messo qualche tempo per passare da oggetto di culto, a rudere dimenticato e poi a oggetto di pura ammirazione. Nella teca si muovono i visitatori, si imbevono di impressioni antiche, poi escono e accanto altra arte, solo poco più recente.
A Roma ci si muove tra impressioni sovrapposte, tra emblemi di ciò che è stato e di ciò che è ancora, tra luci, ombre, riflessi che sussurrano o gridano storie che, quasi mai, capiamo razionalmente. Per Roma cammini ma non ascolti con la testa, non vedi solo con gli occhi, assorbi direttamente dalla pancia nell'anima. A volte, qualcuno, in uno scatto, riesce a fissare quel sovrapporsi di sensazioni, quel mescolarsi di uomini e cose che a me toglie il respiro, perché, in fondo, in questo modo, solo qui è possibile.

Gli dei sono felici

Vivono la vita calma delle radici.
I loro desideri non li opprime il Fato,
o, se li opprime, li redime
con la vita immortale.
Non hanno ombre o altri che li attristino.
E, inoltre, non esistono...

(Fernando Pessoa)

giovedì 4 dicembre 2008

Approdo


Foto di Sandro B.

Oggi è un po' che guardo questa foto di Sandro. L'acquedotto romano sovrasta i binari, è lì da più di 2000 anni, sta ancora in piedi, chissà come e chissà perchè. Immenso, impassibile, mi permette di vedere il contrasto tra la fuga dei binari, il moto ossessivo di un treno immaginato e l'immane tranquillità di ciò che è sopravvissuto alla propria funzione.
Salgo sul treno e vado, proseguo cercando una destinazione, un luogo di pausa, di arresto. Salgo sul treno che immagino passare, viaggio verso il non-luogo che da tempo cerco, quello in cui approdare, in cui sedere quieti. Viaggio verso quel luogo, ogni tanto lo incontro. Dopo un po' si sposta, si trasforma, va altrove. Allora bisogna risalire sul treno, salutare di nuovo l'acquedotto e ripartire.
Felice l’uomo che ha raggiunto il porto,
Che lascia dietro di sè mari e tempeste,
I cui sogni sono morti o mai nati,
E siede a bere all’osteria di Brema,
Presso al camino, ed ha buona pace.
Felice l’uomo come una fiamma spenta,
Felice l’uomo come sabbia d’estuario,
Che ha deposto il carico e si è tersa la fronte,
E riposa al margine del cammino.
Non teme né spera né aspetta,
Ma guarda fisso il sole che tramonta.

(Primo Levi, L'approdo)

venerdì 28 novembre 2008

Parlare di nulla


Foto di Sandro B.

Un mio avventore sporadico mi ha fatto notare che in questo blog si parla di nulla. Le foto sono belle ma.... "Mentre fuori il mondo è nel caos, lì da te si vaga tra nuvolette, poesia e buoni sentimenti... be' quasi sempre...". Gli ho chiesto allora che sensazioni gli dava questo blog, se fosse per lui (è un uomo ovviamente) il salottino della nonna speranza o la sala di un parrucchiere. "Nulla di tutto questo! per carità.... è un po'... be' come signorine alle antiche terme in ciacole amene... ". Mica ho capito... però mi è venuta in mente questa foto di Sandro. Noi qui parliamo di nulla, intorno macchinari immensi continuano a muoversi, a produrre energia, movimento spettacolare e d'effetto. Come protetti dall'architrave restiamo appoggiati ai nostri pilastri, magari senza testa, restiamo qui a concederci un attimo di pausa, un ricordo, una scemenza leggerissima un "signora mia sapesse" condito di poesia.
Ecco, questo blog, per ora, è una pausa, un attimo in cui si produce movimento senza spettacolo, in cui parole leggere producono energia per chi la sa trovare. Un luogo nel quale a volte, i messaggi sono solo tra le righe e in cui, finalmente, non c'è bisogno di urlare per farsi sentire.

Non basta aprire la finestra
per vedere la campagna e il fiume.
Non basta non essere ciechi
per vedere alberi e fiori.
Bisogna anche non avere nessuna filosofia.
Con la filosofia non vi sono alberi: vi sono solo idee.
Vi è soltanto ognuno di noi, simile ad una spelonca.
C'è solo una finestra chiusa e tutto il mondo fuori;
e un sogno di ciò che potrebbe essere visto se la finestra si aprisse,
che mai è quello che si vede quando la finestra si apre.

(Fernando Pessoa da Versi Sciolti)

venerdì 21 novembre 2008

Nulla


Foto di Sandro B.


Senza testa osservo lo scorrere delle ore. Oggi la testa è vuota e non trovo la concentrazione. Dovrei girarmi verso il pannello delle idee e produrre "cose intelligenti". E invece nulla. Procrastino, giro in tondo, leggo qua e là. Perdo tempo. Con un gesto delle mie mani assenti invito ad entrare, ad accomodarsi nella stanza vuota che è la mia testa. Invito a visitare il nulla che oggi è mio compagno.
Prima o poi riprenderò il filo del pensiero e proseguirò, con attenzione, il viaggio...

La vita è un viaggio sperimentale fatto involontariamente.
(Fernando Pessoa)

giovedì 13 novembre 2008

Malinconia


Foto di Sandro B.

Certe immagini evocano la solitudine. Non quel sentimento che a volte viviamo stando da soli fisicamente e che può essere anche molto piacevole, ma una solitudine profonda, interiore. Un senso di isolamento che coglie all'improvviso, straniante, gelido. Una frase di qualcuno, un gesto e di colpo ci troviamo immersi tra strutture d'acciaio, avvolti da un manto di marmo freddo, a chiederci come possiamo riscaldarci l'anima che si è gelata. Un senso di deja vu ha l'effetto di uno zoom sull'ambiente circostante, tutto si allontana e ci troviamo in un luogo familiare, vuoto, nel quale le illusioni non esistono più.

Tutto ciò che vediamo è qualcos'altro.
L'ampia marea, la marea ansiosa. È l'eco di un'altra marea che sta laddove è reale il mondo che esiste.
Tutto ciò che abbiamo è dimenticanza.
La notte fredda, il passare del vento sono ombre di mani i cui gesti sono l'illusione madre di questa illusione.
(Fernando Pessoa)

venerdì 7 novembre 2008

Astrazione


Foto di Sandro B.

Oggi ce l'ho di nuovo con le pietre. Guardo una delle pietre di Sandro. Questa ha i rampicanti, una sua geometria, una bellezza sghemba. I tralci di vite sulla pietra mi appaiono come tagli, sottili lacerazioni, ferite che non sanguinano più. Ferite da cui scaturiscono queste foglie, piccole, appena nate, a ricordarmi che da certe ferite, nasce la vita.
Pensiero,io non ho più parole.
Ma cosa sei tu in sostanza?
qualcosa che lacrima a volte,
e a volte dà luce.
Pensiero,dove hai le radici?
Nella mia anima folle
o nel mio grembo distrutto?
Sei così ardito vorace,
consumi ogni distanza;
dimmi che io mi ritorca
come ha già fatto Orfeo
guardando la sua Euridice,
e così possa perderti
nell'antro della follia.

(Alda Merini, da "La terra santa")

martedì 4 novembre 2008

Non penso


Foto di Sandro B.
Stasera l'aria è tiepida, è novembre e sembra ancora fine estate. Ho voglia di uscire, di trovare un angolo quieto dove sedermi e ascoltare i rumori della sera. Ma è novembre appunto e il giardino sotto casa chiude al tramonto. Così non mi resta che guardare questa foto immaginandomi seduta lì, sotto il lampione, tra gli oleandri; non è più autunno è estate, c'è il suono dei grilli, il parlottare di gente che passeggia per i vialetti, un pulsare di vita cittadina che conforta, il parco è vivo. Immagino e ricordo un momento di quiete estiva, con l'aria tiepida che mi tiene compagnia. Poi, smetto di pensare.

Non sto pensando a niente,
e questa cosa centrale, che a sua volta non è niente,
mi è gradita come l'aria notturna,
fresca in confronto all'estate calda del giorno.

Che bello, non sto pensando a niente!

Non pensare a niente
è avere l'anima propria e intera.
Non pensare a niente
è vivere intimamente
il flusso e riflusso della vita...
Non sto pensando a niente.
È come se mi fossi appoggiato male.
Un dolore nella schiena o sul fianco,
un sapore amaro nella bocca della mia anima:
perché, in fin dei conti,
non sto pensando a niente,
ma proprio a niente,
a niente...
(Fernando Pessoa "Non sto pensando a niente")

*Se vi piacciono le panchine leggete qui e anche questo libro è molto carino, stesso autore.

giovedì 30 ottobre 2008

Stanchezza


Foto di Sandro B.

Oggi mi sento come quella statua. Senza testa, caduta a terra tra le rovine vere e false della civiltà antica. Mi piacerebbe stare sdraiata senza più pensare, tranquilla stringendo a me un velo, una copertina, pure di marmo, purché coprente, rassicurante. Riposarmi un pochino...
Non è che sia successo nulla, ho lavorato un po' troppo, ho fatto un po' molto sport, sono pure uscita a divertirmi (e si sa, dopo una certa età il fisico non regge lo "sgavazzo")... Però poi apro i giornali, esco e tutto diventa molto, molto faticoso. Approvano il decreto della Gelmini, si vendono l'acqua pubblica, vogliono gli sconti sul protocollo di Kyoto, se la prendono con gli immigrati, mentre spediscono il meglio dei nostri cervelli fuori dal paese. Il tutto dando del cretino a chi dissente, a chi chiede di documentarsi prima di agire, a chi chiede di studiare i problemi prima di andar giù di mazzetta da 5kg.
Ecco io di politica e di cosa pubblica sul mio blog non volevo parlare, ma oggi, mentre i cortei degli studenti passavano sotto le mie finestre, mi sono sentita solidale con loro ma anche infinitamente stanca.

martedì 28 ottobre 2008

Autunno ... piove


Foto di Sandro B.

Piove, l'acqua scivola dai tetti, rivoli dalle grondaie e Roma affoga. Città solubile in acqua. Il traffico impazzito rende difficile andare in qualsiasi luogo.
Piove e a Roma nessuno vorrebbe uscire. L'acqua batte sui vetri, isola, crea raccoglimento, allontana il rumore. Sono rari a Roma i momenti di quiete.
Piove, guardo le foto di Sandro, questa è un momento di vita che conosco. Perché piove, ed esco, intorno a me i gatti intirizziti trovano riparo sotto le arcate dei portici. E allora cammino, proprio perché piove. Tutto diventa lucido, le scale libere, la piazza svuotata di ogni presenza. Il vuoto del luogo è come un regalo per chi è qui.
Così rimango sotto l'acqua a godere, con ogni goccia che cade, la città finalmente mia.

La prima pioggia invernale -

ora mi chiamerò

"viandante".

(Basho)

mercoledì 22 ottobre 2008

Autunno


Foto di Sandro B.

E' autunno, persino a Roma comincia a far freddo la mattina, cominciano a cadere le foglie, anche nelle fotografie di Sandro. Guardo questa foto e comincio a sentirmi come quella foglia, appesa, appena trattenuta da una piega della corteccia. Sta per andarsene, lei, alla prossima folata di vento verrà presa e condotta chissà dove. Ora però si gode il sole che la investe in pieno, cosa sarà poi è irrilevante, cosa è stato prima è solo evocabile, non più vivibile. Se fossi quella foglia penserei:

Non sono niente.
Non sarò mai niente.
Non posso volere
d'essere niente.
A parte questo, ho in me
tutti i sogni del mondo...


(Fernando Pessoa)