giovedì 19 agosto 2010

Ricaricare le batterie

La verità è che ho passato questi giorni a lavorare come un mulo. Ore e ore di computer con il server scassato e programmi che sul computer di casa ci mettono una vita a girare. Ho fatto la muffa. Ebbene sì mi sento come quegli alberi, belli per altro, che popolano il sud degli stati uniti, coperti da muffe lunghissime, sono belli ma su di me le muffe stonano.

presa da qui
Dunque urge una nuova fuga prima dell'autunno. Scappo allora, di nuovo al mare, di nuovo su due ruote. Magari però stavolta mi do una calmata e faccio meno chilometri....

domenica 15 agosto 2010

Ferragosto cittadino

Eccomi qua il 15 di agosto ad ascoltare le campane del mattino in quel di Roma. Eccomi qua a scrivere, un po' perché ho delle scemenze da dire, un po' perché London Alcatraz mi ha messo ansia con il suo post ferragostano, mica voglio farmi cancellare dal suo blogroll! (potete sentirmi sghignazzare anche da lì).
Ferragosto a Roma è sempre stato bellissimo. 
Un tempo la città  era davvero deserta, i residenti o se ne erano andati in vacanza altrove già da tempo o provvedevano a sparire entro l'ora di pranzo in direzione del mare o delle campagne limitrofe. Se si andava al mare, ad esempio ad Ostia, la densità umana era degna della metropolitana di Tokio all'ora di punta. Per ciascun ombrellone si trovavano almeno 3 generazioni di romani, con annesse borse e sporte contenenti l'equivalente di un banchetto di nozze. Chiaramente otri di vino accompagnavano il tutto, con successivi numerosi incidenti sulla via del ritorno la cui gravità era moderata solo dalle lunghe code e conseguente bassa velocità. Numerosi ricoveri per colpi di calore e insolazione allietavano la festa di fine estate del personale degli ospedali romani, insieme alle numerose presenze al pronto soccorso di chi, magari tormentato dal mal di testa, non riusciva a trovare un'aspirina in tutta la città. I reparti psichiatrici erano sempre pieni. Anche solo per il senso di solitudine che la città vuota comunicava molti, tra gli individui più fragili, preferivano star lì dove almeno c'era sicuramente tanta gente.
Chi, come me, restava entro il Grande Raccordo Anulare e aveva un equilibrio mentale semi-ragionevole, viveva un'esperienza  affascinante. La città era di noi pochi e dei turisti, si stava come sospesi nella totale assenza di qualunque servizio, dalla farmacia, al ristorante, al bar: tutto chiuso.  Guai a finire le sigarette il 15 agosto! Un'estate, da adolescente, rimasi in città con alcuni amici, chi dimenticato dalle famiglie, chi rimandato a settembre e quindi messo in punizione  (per inciso diciamo pure che lasciare un'adolescente da sola a casa per alcune settimane, non è esattamente una punizione...) Quell'anno lì l'unica attività commerciale che trovammo in funzione fu lo spacciatore di droghe leggere del quartiere che quasi ci abbracciò vedendoci arrivare. 
Gli autobus erano pochi e facevi prima ad andare a piedi che ad aspettarne uno. A Ferragosto sviluppavi  capacità di sopravvivenza in condizioni estreme  (il che, come noto,  è sempre utile).

Oggi le cose sono cambiate. La città è solo parzialmente svuotata, i servizi ci sono tutti e le orde con sporte alimentari sono meno numerose. La città è sempre bella, anzi bellissima, ti godi le strade, il rumore si è ridotto ad un brusio di fondo, il cielo è di un azzurro confortante e luminoso. Nell'aria  c'è la promessa di una giornata quieta, di una lunga passeggiata serale tra le epoche che, qui, convivono in ogni angolo, ricordando a chi vuol ricordare,  quali sono le cose che restano e quelle che se ne vanno.


lunedì 9 agosto 2010

E di nuovo si torna

Eccomi qua, dopo 1350km in una settimana, sono di nuovo connessa. Disintossicata da web, lavoro, conflitti e quant'altro disturba la quiete dell'anima. Mi sono allegramente lessata sulle strade d'Italia, diretta a Sud verso amici vecchi e nuovi, verso una leggerezza che raramente ho trovato. Ci sono cose che facciamo, incontri e atmosfere che guariscono. Ecco mi sento guarita.
Oggi poi è un giorno particolare, dedicato a chi non c'è più, a chi, nonostante siano passati parecchi anni e tanta acqua sotto i ponti, continua a mancarmi. Sono andata a portarle fiori e piante in quel luogo che a me non dice nulla, ma rappresenta comunque l'unico punto dove si possa compiere un rito di memoria. Quest'anno, per la prima volta, è stato un rito sorridente. Ho guardato la lastra di marmo con il suo nome e le date, con gli altri che sono lì e sono, come lei, morti d'estate, quasi tutti. Mi sono chiesta se anche io me ne andrò in estate, con il sole cocente e l'asfalto bollente. Mi sono chiesta se le piacerebbe come sono ora, mi sono risposta un "abbastanza", mai nulla le andava bene in toto, anche se era capace di amare incondizionatamente. Ho pensato che la mia estate su due ruote avrebbe significato un milione di telefonate, una ad ogni sosta, anzi con soste apposite per telefonare, perché lei era ansiosa. Oppure avrei dovuto mentire, come un'adolescente, partire di nascosto, senza dire come andavo. Mentire era cosa che da adolescente non facevo, al massimo tacevo. E a lei non tacevo granché, imparando nel modo più duro, che avrei fatto meglio a star zitta.
Tirava gran fregature la mia mamma, con la sua aria aristocratica e sorridente, ma era certamente una delle persone più divertenti che abbia mai conosciuto. Me la sono portata in viaggio questa volta, lei e tutti i ricordi, vicini e lontani. Gli uomini che ho amato, gli amici e le amiche, i sogni infranti e quelli avvenire, ciò che è stato e ciò che non sarà. La moto un po' pesava all'andata, al ritorno la sentivo più leggera. Tante cose hanno trovato il loro posto in questo andare. Ho lasciato andare cose e persone, un lasciar andare da dentro, da quel luogo dell'anima dal quale di solito ci si aggrappa a ciò che è stato bello. Ho ringraziato dal profondo per i bei momenti, per le tante cose ricevute, poi ho salutato e ho continuato la mia strada, finalmente diritta, in pace come non lo sono mai stata...