giovedì 30 dicembre 2010

Il secondo principio della termodinamica e il senso di colpa

 

In chiusura di un anno di poche parole-web, vorrei raccontare ai 2-3 sventurati che capitano qui, alcune mie riflessioni. Un parallelo tra fisica e anima che ultimamente mi si ripresenta di continuo. Bene per far poco casino parto dall'inizio.
Uno dei ruoli che la vita mi ha attribuito è quello di ascoltatore, ovvero la gente, anche gli sconosciuti, dopo poco che parlano con me, mi raccontano la loro vita, i desideri, le aspirazioni e i dolori. La gente mi racconta di sé. Penso che questo dipenda dal fatto che non si sentono giudicati, la mia faccia dice "vai avanti che bella storia" più o meno qualunque cosa mi stiano raccontando di sé stessi. Per me ogni essere umano è una cosa bellissima, sacra, nella somma delle sue imperfezioni. Anche la storia umana all'apparenza più convenzionale ha per me un qualcosa di speciale: l'essere umano che me la sta raccontando.
Mi trovo così ad avere un discreto campionario di storie nel mio database e dato che ho la tendenza ad organizzare dati e cercare pattern ricorrenti, mi sono resa conto che tutte o quasi, le storie che mi si raccontano sono condite con lo stesso ingrediente: il senso di colpa.
Sarà la derivazione cattolica per uno, il senso del dovere marxista-leninista per un altro, la mamma ebrea per un altro ancora, tutti mi si rivoltano nella melma del senso di colpa. Stanno lì impantanati nelle "terribili" cose che hanno fatto, si arrotolano su se stessi tentando disperatamente di tornare indietro e disfare quel che hanno fatto. Orbene, si tenga presente che non stiamo parlando di omicidi o delitti vari, di solito si tratta di emerite cazzate. Il classico dei classici infatti sono le corna al compagno-compagna (moglie o marito dipende) di turno. Coloro che più si flagellano poi sono quelli o quelle che hanno messo un cornino fugace, o avuto una storia di breve durata di solito causata dall'essere trattati a casa come se si fosse un mobile. Ora ma se ti trattano come un oggetto di servizio fino a farti sentire una pezza, che male c'è a dare una bottarella all'amor proprio tra accoglienti braccia? L'importante è non scappare con il o la padrona o padrone delle suddette braccia abbandonando baracca e burattini. Evitato ciò e caricate le batterie, non è successo nulla di male. Tutti sono contenti: l'amante è stato amato, il consorte riceve sorrisi invece di rimbrotti e i pargoli hanno un genitore sereno. 
Va be' ma mica è una bella cosa comunque, dice una voce dal fondo. Certo invece di risolvere i problemi casalinghi il soggetto è scappato altrove, vogliamo fucilarlo? Il soggetto stesso dice di sì, o chiede a gran voce che qualcuno riporti indietro l'orologio e si possa cancellare quanto fatto. Qui è il senso di colpa che parla, quel meccanismo idiota che invece di farci riflettere, alzarci in piedi e dire "be' se ho fatto tutto questo casino ci sarà pure un motivo, ora lo trovo e cerco una soluzione nella mia vita", ci tiene ben fermi e ci fa dire "ah se potessi tornare indietro".
Quest'ultimo pensiero è la peggiore cazzata di tutte. Indietro non si torna, non nel mondo macroscopico, non qui, non ora. Infatti c'è una legge fisica che nel nostro mondo vale e che regola molte molte cose, quella legge che ci ha fatto inventare il tempo come oggetto con una ben precisa direzione: il secondo principio della termodinamica. Questo principio chiarisce che il tempo non è reversibile (a meno di essere una particella e non un umano più o meno coglione), l'entropia aumenta, se fai casino il casino resta. Quindi se proprio uno si deve fermare, lo faccia per pensare, per trarre spunto dall'accaduto, da ciò che ha fatto, per cercare nuove direzioni e soluzioni ai problemi suoi e del suo mondo. Ogni casino combinato ha una sua ragion d'essere, una sua funzionalità, lasciatevelo dire da chi di cazzate ne ha fatte tante e non ne rinnega nemmeno mezza, anzi le rivendica tutte, dalla prima all'ultima, che poi è sempre la migliore....


E per chiudere:
Buon 2011
che sia un anno a bassa entropia e di grande evoluzione!

lunedì 6 dicembre 2010

E certo che nel pubblico sono dei privileggiati...

Oggi nel primo pomeriggio avevo un appuntamento. Era stata indetta una riunione per un lavoro di ricerca che sto conducendo con un gruppo di universitari. Ci si vede nella stanza della prof alla Sapienza. Entro e fa un freddo boia, più freddo che fuori, al punto che la prof ha il cappotto. 
"Ciao Farlocca, ben arrivata accomodati" inciampando tra cavi di computer e fogli di carta mi passa una sedia. Siamo in 5 in una stanzetta ingombra di carte, libri, computer. Questo è l'invidiato studio singolo di un esimio docente. Mi siedo rabbrividendo.
"Freddino lo so, scusa, sono due anni che ho il termosifone fuori uso e la finestra mezza rotta, ma hanno promesso che quest'anno qualcosa mi sistemano... ecco magari accendo la stufetta..."
Tutti scuotono la testa, si leva un coro di no-non-ti-proccupare, non capisco bene finché non vedo la stufetta. Un oggetto diciamo di modernariato, in metallo non identificato con una bella resistenza di quelle che diventando incandescenti riscaldano bene bene. Peccato che in quella stanzetta, con quel coso dal filo spelacchiato, il rischio di finire tutti arrosto è quasi una certezza.  Scuoto anch'io la testa unendomi al coro.
Cappotto-muniti iniziamo a lavorare. Scorrono numeri, pezzi di software, ci perdiamo felicemente dietro a problemi di altra natura, ci passa anche il freddo.
Bussano alla porta.
"Avanti" la voce della prof sovrasta il nostro parlottio e si apre la porta
"Signo' semo quelli der termosifone" entrano in due vestiti da idraulici, non certo due tipi da film porno su casalinga-idraulico, ma hanno la tuta blu d'ordinanza e gli attrezzi giusti. Nessuno ha il tempo di reagire, ci scavalcano elegantemente e si mettono a smontare il termosifone. Noi imperterriti proseguiamo tra sibili e spruzzi. Ad un certo punto praticamente parte un'onda di marea e  noi ,sempre impassibili, continuiamo a lavorare sollevando i computer e i cavi dei medesimi. L'acqua scorre e noi solleviamo mucchi di carte qua e là, sempre continuando a parlare e discutere, mentre i signori idraulici continuano a bofonchiare attorno al termosifone. Fino a rimontarlo.
"Signo' noi hamo finito, ce pensate voi co li stracci..." ed escono sereni.
Mentre asciugavamo per terra armati di carta asciuga tutto e stracci rubati alle donne delle pulizie,  buttando carte bagnate e ridacchiando, nessuno escluso, la prof ha promesso pinne e maschere a tutti per la prossima riunione, "tanto farà caldo..." ha aggiunto sorridendo beata. Tra sbuffi e gorgoglii, il decrepito termosifone aveva davvero cominciato a scaldare.


venerdì 3 dicembre 2010

Tornando sui banchi di scuola...*

In questo periodo mi trovo molto coinvolta con la vita universitaria. Da un lato ho degli amici che, seppure ben più che adulti, hanno deciso di tornare sui banchi di scuola e si sono iscritti all'università (passando ardue selezioni), dall'altra perché in questo semestre tengo un corso presso una facoltà scientifica. Le mie intersezioni con il mondo universitario sono state tante, continue nel tempo e di solito piuttosto belle. Ne conosco pregi e difetti, nonché l'evoluzione degli stessi (sopratutto dei primi), così non ce la faccio a stare zitta.
Cominciamo dicendo che confermo quanto dice uno degli amici tornati a scuola: la riforma Gelmini è pura fuffa. Lui sostiene che sembra la riforma dell'esercito scritta da noi due insieme che non abbiamo neanche fatto il militare. E' vero.
Nella regolamentazione/legislazione universitaria già esistono (e da sempre) ampi strumenti per dar spazio alla meritocrazia e al controllo sulla produttività, solo che nessuno li implementa. Ad esempio tutti i docenti che vincevano un concorso, fino a poco tempo fa, passavano 3 anni in "prova" (con abbondante decurtazione dello stipendio già non proprio elevato), dopo i tre anni una commissione di revisori, esperti degli stessi temi di cui si occupavano i docenti, li confermava o meno in ruolo sulla base della loro produttività. Questo in teoria, dato che nessuno, o quasi, pare sia mai stato non-confermato.
L'attività didattica andrebbe rendicontata lezione per lezione con un libretto, cartaceo, della didattica (questo ad esempio alla Sapienza a Roma), libretti che finivano in archivio senza che nessuno li guardasse, così molti hanno smesso di farli,(sempre alla Sapienza ora si fa tutto via web in forma sintetica e finalmente i rendiconti li usano e la gente ha ripreso a farli).
I concorsi, locali o nazionali che fossero, erano piuttosto duri, prove scritte e di laboratorio, lezioni da tenere ed esame (in teoria) minuzioso delle pubblicazioni e del lavoro svolto. 
E via così. 
In pratica c'è già tutto, ma se non ha funzionato fino ad ora perché dovrebbe funzionare un qualcosa di apparentemente nuovo che implementa, nella sostanza, le stesse cose?
Appunto è fuffa.
La protesta in corso, per quanto legittima, è misera pure quella. Ripropone le stesse modalità di sempre, testimoniando una mancanza di immaginazione deprimente. Ne parlavamo con i ragazzi del corso, mi avevano cercato per sapere se facevamo lezione dato che il dipartimento è occupato. Si rifletteva che in fondo, se il punto è che mi si vuole togliere la possibilità di studiare, che senso ha bloccare le lezioni? Al contrario, occupiamo tutto, teniamo tutto aperto e organizziamo lezioni e seminari a ciclo continuo. 
Il punto fondamentale è la mancanza di denaro. Manca tutto oramai, anche il personale sopratutto quello pensante, non c'è turn over e quindi anche nelle amministrazioni non c'è abbastanza gente, con un sistema oltretutto super burocratizzato. Pochi giorni fa ho assistito ad una scenetta che pare sia la norma:

Ufficio amministrativo di un dipartimento della Sapienza in piena riorganizzazione, quattro impiegati, di cui uno solo realmente attivo, gli altri stanno cercando di capire le nuove norme se no non sanno cosa fare delle carte che hanno in mano. Ingresso di un docente con gli occhi di fuori, è il terzo in mezz'ora:
- Qualcuno mi dice perché non è stata approvata la richiesta di riparazione della finestra che ho fatto?
- Professò nun ce stanno i sordi..
- Lo so per questo ho chiesto di pagarla io con i soldi di quella consulenza che ho fatto, quel contratto che ho portato qui per finanziare queste cose...
- Professò nun lo so allora... sarà n'artra roba de quelle co' la corte dei conti...
- Ma a me viene la bronchite...
- Professò nun lo so je l'ho detto...
- .... (parolacce del docente) ...
- Professò ma che cazzo volete tutti da me che c'ho solo la terza media?
Il professò smette di bestemmiare, si guarda intorno e con aria desolata:
- Già, ma lei con la sua terza media forse è l'unico che sa quel che succede qua dentro...

*liberamente ispirato dalla realtà corrente