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mercoledì 13 maggio 2009

Era un pomeriggio di primavera




E' mattina, un cielo azzurro limpido e pulito, accoglie i mie occhi appena aperti. E' sabato, nessun impegno davanti, o meglio dovrei lavorare ad un paio di cose ma sono talmente stanca che rischio di fare solo idiozie. Quindi apro mentalmente l'agenda e la richiudo buttandola nell'ultimo cassetto del cervello. "Oggi cazzeggio" formulo il pensiero con chiarezza e lo stampiglio sulla giornata. Decido di muovermi a piedi, niente scooter, ritmi rallentati. Ad un certo punto della mattinata sento A.. Anche lei è a piedi, suo figlio ha avuto uno spaventoso incidente da cui è uscito completamente illeso, lui, l'unica macchina di casa invece è da buttare:
F.: Ciao, ci vediamo dopo?
A.: Sì, io devo fare alcune cose, tra cui andare fuori città per parlare con uno della macchina incidentata. Mi prestano una macchina.
F.: Vengo con te se vuoi, ho deciso che oggi cazzeggio.
A.: Perfetto! Allora raggiungimi al mercato vicino casa mia, così ci diamo alle bancarelle e poi andiamo.
F.: Arrivo.
Miracolosamente dal centro alla periferia est di Roma ci metto neanche mezz'ora. Ci immergiamo in un mare di colori, fiori, frutta, verdura, vestiti, l'orgia colorata dei mercatini romani del sabato ci inghiotte. Si chiacchiera, sdrammatizziamo l'incidente di suo figlio elogiando gli angeli custodi, ci immaginiamo vestite con gli abitini da 5 euro che solo le ragazzine di periferia hanno il coraggio di mettere e saltelliamo di palo in frasca fino all'ora di pranzo. Il pomeriggio inizia con il recupero della macchina in prestito, è il fratello di A. a darcela tra mille raccomandazioni e richieste "Mettetevi le cinture, andate piano, la macchina è nuova, non fumate in macchina!! sopratutto non fumate in macchina" Lui è più grande di A. di poco, ma si mette il cappello del fratello grande e protettivo ogni volta che l'ho visto. Annuiamo compite, rassicuriamo, promettiamo rispetto delle regole e appena girato l'angolo accendiamo una sigaretta a testa (finestrini rigorosamente aperti). Si parte. Dobbiamo raggiungere un paesino al nord di Roma, là si trova F. un amico di A. e del suo capo. Lei me lo racconta come un uomo d'oro, una persona speciale, un vero amico per entrambi con qualche pecca, ovvio, come tutti... "però ecco vedi... insomma... è un bandito" alzo il sopracciglio e chiedo chiarimenti "Sì insomma... uno un po' zingaro di quelli a cui chiedi una cosa qualsiasi, chessò un motore di BMW... e lui il giorno dopo ti fa un regalo... un bel motore di BMW... ecco uno così" annuisco "Un coatto vecchia scuola" dico "Esatto" risponde A.. Ora io da sempre ho una passione per i coatti romani vecchio stile, mi ci trovo bene, a piccole dosi ovviamente, ma di solito sono molto cavallereschi, corteggianti e, se non sono scemi, fanno battute spettacolari, quindi la prospettiva mi alletta.
Prendiamo il Raccordo anulare con tutto il traffico del sabato, un pezzo di autostrada, usciamo e, come da copione, ci perdiamo. Perché Farlocca e l'amica di Farlocca se vanno da qualche parte con una macchina in prestito mica si portano una cartina, o le indicazioni stradali, sia mai! Ci sarà la cartina in macchina ovvio no? Quindi si va e basta per scoprire che la cartina non c'è. Essendo l'epoca dei cellulari si chiama il bandito che non risponde, si chiama Lello amico del bandito, che non risponde, si parla con due signore a spasso per la campagna romana che fanno un simposio su quale sia la strada migliore per poi darci indicazioni sbagliate, si arriva ad un bar e si prende un caffè per finalmente ricevere le corrette informazioni. Arriviamo.
Davanti ai nostri occhi si apre il regno del bandito, un autolavaggio che sembra un campo nomadi, fra baracchette, chiosco, lavoranti di ogni etnia terrestre e cani spelacchiati e non. Entriamo, parcheggiamo ed A. scende. E' come se fossimo arrivate sulla croisette di Canne, il bandito la vede e si precipita, intanto spedisce il lavorante più vicino a "da 'na botta alla machina" e sopratutto sorride. E' un uomo non giovane, di un'età indefinibile tra i 50 e i 60 anni ben portati, ha la catena d'oro di prammatica ma anche un torchon piccolo, di corallo (bellissimo) intorno al collo. Gli occhi sottili, pochi capelli e un sorriso largo che gli illumina la faccia come un riflettore. Si muove con andatura rilassata, i movimenti di chi ormai nella vita si muove a suo agio, ha anche un tatuaggio su di una dito, la sua iniziale, il tatuaggio sa di mala romana. Accoglie A. come fosse una regina ed essendo io in compagnia della regina ricevo subito un'attenzione speciale. Come ogni coatto che si rispetti anche F. è sensibile, molto sensibile, al fascino femminile, sopratutto se sa di "buona famiglia" e noi di quello sappiamo. Così ci si offre un te' freddo al chiosco senza mai staccare gli occhi dalle scollature, la mia in particolare essendo nuova ai suoi occhi, ci si offrono sigarette, battute e sguardi intensi. Ci sediamo fuori ad un tavolino del chiosco in attesa di Lello amico del bandito, sarà lui ad occuparsi della macchina di A. che è da recuperare al deposito giudiziario e poi o da buttare o da riparare, sarà Lello a formulare il verdetto essendo carrozziere. Mentre sediamo là in amene chiacchiere "che ce devi da fa ca' a machina?" "Non so se vale la pena ripararla" "mbe' c'ha l'anni suoi... me sa che è mejo si a butti e te ne fai una a rate, comunque nun te preoccupà che ce pensa Lello, è 'n fratello... oh Lello è uno pulito, ma pulito pulito... " arriva un personaggio fondamentale del luogo: Zi' Giovanni, cavallaro ultra settantenne, con una pancia da autentico bevitore-mangiatore, due occhi talmente iniettati di sangue da non sapere che colore hanno, ubriaco perso ed immediatamente colpito d'amore per le signore amiche di F. Così "Si nun ve do fastidio m'accomodo" dice prendendo una sedia e mettendosi al nostro tavolo. Il bandito sorride come un ragazzino "Vieni Zi' che tanto nun ce dai fastidio, dicce dicce" e ridacchia. Il cavallaro si accomoda, "che ce fai co ste du belle signore? si posso chiede?" biascica a fatica agitando le mani. "nun te 'mpiccia, Zi' so amiche mie" ride F. noi compitamente diamo il ben venuto. F. si alza e va a cercare Lello, io ed A. restiamo al tavolo con Zi' Giovanni che attacca a narrare, il filo logico del discorso è di difficile reperimento, ma veniamo a sapere che lui abita in paradiso, tra i cavalli, là vicino "e si volete me venite a trovà" che aveva un maneggio, ma il maneggio non conviene che "nisuno pagava". Mentre prosegue la narrazione con l'attenzione di Zi' Giovanni su di me, arriva Lello e A. gli va incontro. Resto così mezza intrappolata al tavolino con Zi' Giovanni che narra, con modalità da sbronza apocalittica, le sue avventure con un "rottevailer, 'na belva, che io mica je menavo ar cane, io sdraiavo ar padrone li-mortacci-sua, che poi me fa ... tu a me li morti nun me lidichi... e se fa brutto e io allora... " sto lì e mi godo il momento di puro neo-realismo-extra-urbano. Però Zi' Giovanni sta cominciando ad accalorarsi e tende ad avvicinarsi per meglio chiarire i concetti con effetto superciuk abbastanza devastante. Intorno è un via vai di signori e signore con macchine di vario livello, coatti con auto improbabili rabberciate con pezzi da sfascio stuccati, sgommate improvvise, risate esplosive, forse un po' tossiche. La mia osservazione del genere umano presente viene interrotta (per fortuna) dalla richiesta di consulenza di A.. Sta poco più in là, a discutere con Lello su cosa sia meglio per la macchina, concludendo che va rottamata. Intanto il bandito gioca con il bambino di Lello, un bambino bellissimo con due occhi blue mare incantevoli, mentre la madre del bambino sorveglia a distanza. Il piccolo è nato sordo, ma ora grazie ad un impianto comincia a sentire, ha una vitalità e una socievolezza straordinarie. E' evidente l'amore che questi adulti hanno per il bambino. Zi' Giovanni intanto continua a sproloquiare arrabbiandosi con qualche fantasma, maledice Roma e "tutto quer casino, annate annate che se sta mejo qua". E dunque andiamo, riprendiamo la macchina, immacolata e profumata, mentre riceviamo un ennesimo invito "in paradiso" dal cavallaro, due inviti a cena e uno ad un pub (tutti dal bandito in diversi posti), ci si saluta con baci e abbracci, sono stata assimilata anch'io, merito di A. e forse della scollatura.
Al momento di andar via sono quasi le sei, la campagna romana è incantata dalla luce di fine giornata, qualche nuvola sparsa, su di una si crea come una finestra colorata, è un pezzetto di arcobaleno, un brandello di caleidoscopio, come quello in cui abbiamo trascorso il pomeriggio.

Zi' Giovanni (Foto di A.)

giovedì 26 marzo 2009

Sulle mie impronte II*



* continua da qui
Sulla spiaggia, in inverno, tra sole e tramontana, continuo a chiacchierare con i due pensionati, mentre i loro cani mi saltellano tra le gambe e ci riempiamo di sabbia a vicenda. Il calvo ha una storia diversa dal suo compagno di pensione. E', come dice lui, "ordinario", ha fatto l'impiegato tutta la vita, una famiglia tranquilla con due figli ora lontani "So ragazzi studiosi, mo' c'hanno una trentina d'anni e qua che ce stanno a ... così uno sta in Danimarca e l'altra, cor marito e i figli, sta in Norveggia... che poi boh... valla a capì, io a sto clima nun c'avrei mai rinunciato... ancora ancora a Danimarca, Copenaghen... ma a Norveggia... ", la moglie è morta poco prima che lui andasse in pensione, così quando ha smesso di lavorare è rimasto solo. Lo guardo e mi sembra di vedergli in fondo agli occhi tutto quel mare di tristezza in cui deve essere sprofondato allora. "Però, vede signorì, ce stanno l'amici de sempre. Io co sto disgraziato" e mette una mano sulla spalla del barbuto "ce passavo er tempo già da regazzino. Vivevamo vicini, annavamo a giocà sulla spiaggia insieme... e poi 'na bella mattina, che io me volevo ammazzà, questo me s'è presentato alla porta e me fa 'Oh, che stai a ?' e io, che stavo cor pigiama alle 11 de mattina e facevo schifo che manco m'ero lavato 'che voi che devo da ? stavo a annà ar Quirinale che m'hanno 'nvitato' e quasi je chiudo la porta che m'era sembrato scemo. Poi lui tira fuori da dietro la schiena 'na borsa de stoffa e dalla borsa sbucano ste du' capocette de cane" gli occhi gli si illuminano e indica i due cani che continuano a imperversare intorno a noi. "Me dice, 'io de bestie pelose nun ce capisco 'n cazzo, ma tu ce l'hai avuti i cani, se ne potemo prenne uno io e uno te, e tu me dai 'na mano a tirallo su ... a educallo... e me voj fa entrà che fa freddo!' e da quer giorno nun se semo più divisi.... come da regazzini...." Sorride, il barbuto guarda altrove, come se in fondo non volesse essere coinvolto in questa storia di solidarietà, di solitudine, "Aho, mo basta che me stai a venì a lacrimuccia! che dice signorì, je lo potemo offrì 'n caffè?" il calvo ridacchia e mi strizza l'occhio. Accetto il caffè che prendiamo in uno dei pochi chioschi aperti sulla spiaggia. Cominicamo così una chiacchierata-discussione che va avanti per qualche ora. Si parla di donne e uomini sopratutto, i due nullafacenti non me ne fanno passare una, tanto per cominciare mi chiedono che fa "de mestiere" l'uomo con cui sto, alla mia risposta sgranano gli occhi, "che vordì è 'n'artista? che paga lei l'affitto?" si scandalizza il barbuto. "Aho, e che je fa? pure se paga lei a te che te frega?" ribatte il calvo. "E no porca zozza! certe cose 'n'omo nun le po' manco sentì se è omo!" e parte un dibattito tra i due su cosa-sia-un-uomo. Io zitta non ho ne negato ne confermato. Me la godo questa scenetta tra "uomini all'antica" che dibattono in una lingua che non è ne italiano ne romanesco. "Un momento", intervengo, "ci sono artisti che guadagnano quello che vogliono, quindi perché dovrei per forza essere io a pagare l'affitto? e poi non viviamo insieme..". Mi squadrano "Naaa, er suo è morto de fame semo sicuri!" e tutti a ridere, dato che è vero mi unisco. Ai caffè seguono bibite mentre i cani si sono accucciati sporchi di sabbia e felici. Non posso neppure accennare a tirar fuori il portafogli, sono con due "omini" mica si possono far offrire qualcosa da me. Me li guardo, li ascolto, è un giorno strano, non mi sento attaccata o disturbata dai loro commenti, dal loro scuotere la testa, o argomentare, anche un po' sgangherato, sulle donne indipendenti e gli uomini imbranati-che-non-sono-più-come-eravamo-noi, dai loro "Eh no, mo' 'n'attimo... e va be' seee, però... ". Mi diverte il loro capire che io voglia un giorno solo per me e il non capire come mai il mio compagno non abbia nulla da dire in proposito, "Aho' ma manco 'na parola? gnente gnente?" non ci possono credere. Continuiamo a ridere, a scherzare e a raccontarci fatti e vicende, commentando tutto il commentabile fino all'ora di pranzo. Non accetto anche l'invito a pranzo, ora ho voglia di stare da sola, mi salutano con un'ultima battuta del barbuto "lei deve scappà!" che "signorì, senta a me: la maggior parte dell'omini so troppo scemi pe' capì il valore de 'na donna intelligente, ma a volte pure de una cretina, prima dell'età della pensione... scappi lei prima che lo faccia lui così se 'mpara! scappi sempre lei pe' prima!". Cosa che, è risaputo, io non ho imparato a fare.
Ecco vanno, quei due vecchi così diversi, con i loro cani bastardissimi e meravigliosi, con la loro storia e la vita che ancora gli resta. Io riprendo a camminare e intanto ripenso all'unica battuta detta da me che era stata accettata senza discussioni, una cosa molto banale, detta forse solo per arginarli un momento: C'è un tempo per ogni cosa. Avevano accolto la frase entrambi con aria grave, annuendo. Sì, c'è un tempo per gli artisti svagati, uno per trovare un porto sicuro, uno per dare, come uno per ricevere e sopratutto un altro tempo ancora, quello di star da sola a camminare sulla spiaggia.

giovedì 19 marzo 2009

Sulle mie impronte


Certe mattine c'è il sole, un bel sole che scalda anche se è inverno. Apro l'agenda e guardo se ho davvero qualcosa di importante da fare. Certi giorni ho fortuna, non serve che io vada a lavorare, la mia presenza in loco non è necessaria. Allora telefono, non mento, non ce n'è bisogno, dico che non vado e prendo lo scooter. Roma ha il mare vicino, in meno di mezz'ora sono a Capocotta o a Torvaianica, parcheggio e vado sulla spiaggia. Sono momenti rari, la combinazione di eventi che deve verificarsi ha una bassissima probabilità, ma non è zero, ogni tanto è capitato. I piedi mi portano lungo il bagnasciuga, sulla sabbia fine, il rumore del vento e del mare che, se calmo, sembra accarezzare la terra, qualche pensionato con cane, un gruppetto di ragazzi che hanno saltato la scuola. Il vento porta l'odore della macchia mediterranea se viene da terra, del mare se soffia nell'altra direzione. Odori di natura, immagini di vita a due passi dalla città, isole per i sensi sovraffolati di segnali. Cammino, penso oppure no, lascio andare lo sguardo e non ho quasi mai con me la macchina fotografica. Questi sono attimi solo da vivere e ricordare. Cammino, dicevo, un piede davanti all'altro mentre le vite altrui scorrono accanto. Due ragazzi presi l'uno dall'altro, si guardano senza parlare, non vedono e non sentono altro che loro stessi, si toccano il viso a vicenda, si accarezzano, persi in quel particolare tipo di amore che porta l'adolescenza e che io non ho mai saputo cosa fosse. Continuo, poco più avanti due anziani, uno barbuto e magro, l'altro calvo e rotondo, hanno due cani piccoli, di pura razza bastarda, uno chiaro color miele, l'altro nero con una macchia bianca sul muso da cui risalta il naso. Camminano lenti mentre i due animali corrono, saltano nell'acqua, annusano, abbaiano. Li guardano "Te fa piacere guardalli, me pare de tornà regazzino" dice il barbuto all'altro con un sorriso. "Seee da regazzino io mica sartavo così! già rotolavo che ero er ciccia bomba d'a compagnia!" si guardano e ridono. Mi vedono "buongiorno" e continuano a ridere. "Signorì nun se cambia mai" , rido con loro e mi fermo a guardare i cani. "Come mai sta qua invece che a lavorà o a fa ... quarcosa?" mi chiede il barbuto con aria maliziosa, "Ho lavorato troppo e oggi c'è il sole..." rispondo "Me pare un ottimo motivo" afferma annuendo il più tondo dei due, mentre lancia un legnetto al cane nero. "Che lavoro fa?" chiedono quasi all'unisono, ridacchiano "che vole passamo troppo tempo 'nsieme oramai ..." gli dico che lavoro faccio e mi guardano come uno strano animale. Il barbuto sorride, "Lei fa un lavoro da uomo" e mi guarda con aria provocatoria "Be' insomma, mica faccio lo scaricatore..." ci guardiamo e ridiamo tutti e tre. Di colpo mi trovo a pensare che sembriamo tre ragazzini che si sono fatti troppe canne, ridiamo come scemi per qualsiasi cosa, siamo ubriachi di ossigeno, di salsedine e luce. "Comunque fa un mestiere da persona seria, mica come me che so' sempre stato un gran cazzaro" dice il barbuto strizzandomi l'occhio. "See er più cazzaro de Torvaianica!" afferma annuendo quasi serio il calvo. Vengo così a sapere che il barbuto ha fatto per un po' il giocatore di poker professionista, poi si è messo su un locale, si è sposato anche un paio di volte ed ha sei figli sparsi per il mondo con diverse madri non tutte italiane, non tutte ex-mogli, però li sente tutti e gli sono simpatici afferma serio. "Come padre ho fatto schifo quanno ereno regazzini, ma poi me so dato da fa' e ho recuperato" dice con orgoglio. Il locale era un posto da qualche parte sul litorale di Ostia, d'estate lo faceva guadagnare abbastanza per tutto l'anno, "anzi pe' due..." afferma e così, da ottobre a maggio si poteva permettere di non fare nulla. "Vede signorì, io so abituato a nun fa un cazzo! mica come lui che ce stava a soffrì d'esse annato in pensione" e da una pacca sulla spalla dell'amico. "E pure lei deve sta attenta, se organizzi per tempo, che a nun fa un cazzo ce vole pratica...".

(.... continua... prima o poi)