E' quasi un mese che la vita mi tiene lontana dal blog. Una pausa, nessuno spazio lasciato al ludico, al fine a sé stesso, solo un periodo di alta acrobazia esistenziale per cercare di restare diritti.
Un po', come al solito, è colpa mia, è vero che, citando un amico, io amo le cose impervie, che se sono su di una strada, dritta e libera, comincio a far curve per conto mio, ad arrotolarmi su me stessa sprecando spesso grandi quantità di energia. L'unico vantaggio è che non mi annoio mai.
Un po', come al solito, è colpa mia, è vero che, citando un amico, io amo le cose impervie, che se sono su di una strada, dritta e libera, comincio a far curve per conto mio, ad arrotolarmi su me stessa sprecando spesso grandi quantità di energia. L'unico vantaggio è che non mi annoio mai.
Sono stata per strade impervie anche in questo periodo, ancora le percorro e sempre, credo, le percorrerò; anche quando tutto sembra andare liscio, esser semplice e lineare, a me viene incontro una qualche complicanza. Sono spesso calamita di guai, so di andarmeli a cercare. Più è folle la sfida, più incasinata la situazione, sia umana che di studio, più me ne sento attratta e stimolata. Ok, va bene, sento la vocetta del solito materialista storico, pragmatico e terreno, che stigmatizzata quanto appena detto come "cercare rogna". Va bene se vogliamo è così: io vado cercando rogna. Anche quando di rogne non ce ne sono, anche quando potrei mettermi lì tranquilla a godermi l'andare, mettere una bella musica on the road e guidare serena, io creo l'arzigogolo, mi intorcino tra i neuroni e mi agito. Mi sono chiesta spesso perché, cosa mi conduce a trasformarmi in ufficio complicazioni affari semplici, ad incartarmi nei garbugli. Mi sono detta "sei una drogata di adrenalina" e questo forse è un punto, ma c'è qualcosa di più, qualcosa che va al di là di una più o meno conclamata tossico-dipendenza.
Una chiave di lettura l'ho avuta qualche sera fa a cena con uno dei miei fratelli. Siamo partiti dal racconto di un fatto recente. Mio fratello aspetta un figlio (o figlia non sappiamo ancora), dalla sua nuova compagna (facendo di me una felice zia). Qualche giorno prima aveva voluto dare la notizia al primo figlio avuto dalla precedente compagna. Si era macerato, arrovvellato e straziato, ricordando quando lui ricevette l'annuncio dell'arrivo di nostro fratello (in seguito molto amato), annuncio fatto da nostro padre in modo, come dire, abbastanza goffo. L'augusto nostro genitore, cercando di rassicurarci, invece semplicemente di dire che arrivava un nuovo membro della famiglia Farlocchissima, anche se non di stessa madre, cominciò ad elencare tutte le paure che non dovevamo farci venire. Ovviamente, dato che il cervello umano rifiuta le negazioni, a noi vennero tutte le paure possibili, comprese quelle a cui non avevamo mai pensato.
Così mio fratello si accinge a dare l'annuncio, con aria grave e compresa della parte, spiega la cosa al figlio, pone grande cura nella scelta delle parole, attento a creare una giusta atmosfera (nonostante le gocce di sudore che gli imperlano la fronte), parla in tono calmo e serio, rassicurante al suo massimo. Ora mio nipote, per quanto figlio di genitori complicati, è un ragazzino sereno, amato da tutti, compresa la tenerissima compagna di suo padre, seguito e apprezzato dalla numerosa schiera familiare. Quindi è abbastanza sicuro di sé e non dubita dell'amore che lo circonda, inoltre di "demi-frère" (scusate mi piace più dell'italiano fratellastro), già ne ha uno da parte di madre. All'annuncio dell'arrivo di un fratello/sorella ha sorriso ampiamente "Ahaa, meno male pensavo fossi incazzato per la verifica d'inglese [NdR andata malino].. un fratello/sorella è una figata!" (la creatura ha 11 anni e parla così). Mio fratello, dunque, aveva fatto curve su di una strada dritta, si era fatto venire l'ulcera, sudato otto secchi d'acqua, per qualcosa che non era un pericolo. Per un problema che lui, con il suo comportamento da genitore attento e affettuoso, aveva già risolto prima ancora che si creasse. Da questo siamo passati ad elencare situazioni da sterzate e uscite di strada inutili, nostre passeggiate per metaforici fossi che non servivano a niente. E così siamo finiti a rievocare storie di famiglia, storie fatte di disattenzione e goffaggine sparpagliata, di personaggi violenti e ostili, magari per troppa sofferenza loro, che hanno popolato la nostra infanzia ed adolescenza.
E così, mentre si parlava, ho smesso di sentirmi un caso particolare, quel fare curve inutili, quel complicarsi inutilmente la vita è un tratto caratteriale comune. Un imprinting che viene dalla storia familiare. Eh sì, perché se cresci nel casino costante, in una famiglia d'intellettuali distratti e un po' egocentrici, dove per esser visto devi ululare la tua esistenza se no ti passano sopra con la ruspa, come fai a pensare che una strada dritta sia semplicemente percorribile così com'è? come fai a vivere quietamente se non sai cosa sia la quiete?
Una chiave di lettura l'ho avuta qualche sera fa a cena con uno dei miei fratelli. Siamo partiti dal racconto di un fatto recente. Mio fratello aspetta un figlio (o figlia non sappiamo ancora), dalla sua nuova compagna (facendo di me una felice zia). Qualche giorno prima aveva voluto dare la notizia al primo figlio avuto dalla precedente compagna. Si era macerato, arrovvellato e straziato, ricordando quando lui ricevette l'annuncio dell'arrivo di nostro fratello (in seguito molto amato), annuncio fatto da nostro padre in modo, come dire, abbastanza goffo. L'augusto nostro genitore, cercando di rassicurarci, invece semplicemente di dire che arrivava un nuovo membro della famiglia Farlocchissima, anche se non di stessa madre, cominciò ad elencare tutte le paure che non dovevamo farci venire. Ovviamente, dato che il cervello umano rifiuta le negazioni, a noi vennero tutte le paure possibili, comprese quelle a cui non avevamo mai pensato.
Così mio fratello si accinge a dare l'annuncio, con aria grave e compresa della parte, spiega la cosa al figlio, pone grande cura nella scelta delle parole, attento a creare una giusta atmosfera (nonostante le gocce di sudore che gli imperlano la fronte), parla in tono calmo e serio, rassicurante al suo massimo. Ora mio nipote, per quanto figlio di genitori complicati, è un ragazzino sereno, amato da tutti, compresa la tenerissima compagna di suo padre, seguito e apprezzato dalla numerosa schiera familiare. Quindi è abbastanza sicuro di sé e non dubita dell'amore che lo circonda, inoltre di "demi-frère" (scusate mi piace più dell'italiano fratellastro), già ne ha uno da parte di madre. All'annuncio dell'arrivo di un fratello/sorella ha sorriso ampiamente "Ahaa, meno male pensavo fossi incazzato per la verifica d'inglese [NdR andata malino].. un fratello/sorella è una figata!" (la creatura ha 11 anni e parla così). Mio fratello, dunque, aveva fatto curve su di una strada dritta, si era fatto venire l'ulcera, sudato otto secchi d'acqua, per qualcosa che non era un pericolo. Per un problema che lui, con il suo comportamento da genitore attento e affettuoso, aveva già risolto prima ancora che si creasse. Da questo siamo passati ad elencare situazioni da sterzate e uscite di strada inutili, nostre passeggiate per metaforici fossi che non servivano a niente. E così siamo finiti a rievocare storie di famiglia, storie fatte di disattenzione e goffaggine sparpagliata, di personaggi violenti e ostili, magari per troppa sofferenza loro, che hanno popolato la nostra infanzia ed adolescenza.
E così, mentre si parlava, ho smesso di sentirmi un caso particolare, quel fare curve inutili, quel complicarsi inutilmente la vita è un tratto caratteriale comune. Un imprinting che viene dalla storia familiare. Eh sì, perché se cresci nel casino costante, in una famiglia d'intellettuali distratti e un po' egocentrici, dove per esser visto devi ululare la tua esistenza se no ti passano sopra con la ruspa, come fai a pensare che una strada dritta sia semplicemente percorribile così com'è? come fai a vivere quietamente se non sai cosa sia la quiete?