domenica 11 luglio 2010

Gorgonzola al mascarpone


La farlocca qui presente ha un problema che le complica, costantemente, la già complicata vita, è un problema alimentare, nulla di mortale ma molto molto fastidioso. La farlocca è intollerante, molto seriamente, al lattosio. In realtà scoprire questo è stato per lei un evento risolutore, mille mali che l'affliggevano da tempo immemorabile, scomparvero come per incanto in conseguenza della semplice eliminazione del lattosio, in ogni sua forma ed accezione, dalla sua dieta. Quindi la farlocca giubilò estasiata. Solo un rimpianto, un dolore al centro l'anima, l'accompagnava: il distacco dal gorgonzola al mascarpone. 
Ebbene sì quell'alimento tra il piccante e il dolce, grasso da intasare le coronarie al primo morso, sublime nello sciogliersi sul palato, quello era l'unico vero distacco che le è sempre pesato. Il gelato si mangia di soia o di frutta, lo yogurt chissenefrega, la panna pace, non è essenziale, la besciamelle te la fai a casa con il latte a ridotto contenuto di lattosio o con il brodo. Tutto si sostituisce, di tutto si può fare a meno. Solo lui, l'estremo oggetto d'amore, è insostituibile e sempre sarà tale.

Ora, direte voi, a noi cosa ce ne dovrebbe fregare di questa tua perversione alimentare frustrata? Un attimo che vengo al punto.
Da un po' di tempo (parecchio) costruisco categorizzazioni degli eventi della mia vita, gioco a raggruppare, a trovare pattern comuni nei rapporti che intrattengo, cerco stralci di razionalità nell'irrazionale universo del sentimento. Ultimamente ho una categoria di relazioni umane che in altre epoche era sempre vuota, che si sta riempiendo sempre più. L'ho chiamata la classe del gorgonzola al mascarpone. Il nome deriva da un'analogia ovvia a questo punto del mio scrivere e della vostra lettura, in questa classe vanno a finire, per tempi più o meno lunghi, quei rapporti con persone amatissime, la cui compagnia è desiderata ardentemente e la cui vicinanza è spesso fonte di immensa gioia, che hanno un però che le contraddistingue. Alla lunga per me sono tossiche (e magari io per loro). Sono quelle persone che ami tuo malgrado, quelli che ami nonostante tutto, ma che ad un certo punto capisci che, se non cambiano modalità (non sostanza solo modalità) finiranno con il farti la pelle. Senza volerlo, amandoti anche loro ti faranno fuori. Sono, ad esempio, quelli che non sanno controllare la diarrea verbale quando stanno male e senza chiederti come stai (magari tu ti reggi in piedi per miracolo) ti investono costantemente con un mare di negatività e di orrori. Tu saresti ben felice di dar loro una mano, allora provi a dire la tua ed automaticamente diventi oggetto d'ira, perché "non capisci...". Quello che vogliono è un contenitore per l'ansia e basta. Neppure il pat pat sulla spalla è ammesso, devi star lì zitta e se dici una cosa qualsiasi, partono di sberla perché non sono in grado di ascoltare, stanno troppo male e cercano solo un parafulmini. Poi ci sono quelli che vanno sulle montagne russe che tu sembri una dilettante. Un giorno sei l'oggetto di ogni amore, il giorno dopo sei il nemico numero uno, il tutto senza una parola di spiegazione. Anche lì c'è un malessere grande, uno squilibrio profondo, che tu potresti accogliere se solo venisse esplicitato. Potresti anche accettare di svolgere il ruolo del nemico numero uno, se solo ti avvisassero. Ma parte del dolore che queste persone vivono è proprio l'impossibilità di comunicare. Non ce la fanno proprio. Altri ancora sviluppano stati di violenza repressa feroce, che esplode in modalità le più diverse, dal cacciarti via malamente quando hai bisogno di accoglienza al prendersela con te, di nuovo, senza spiegartene le ragioni. 
Non sono tante le persone nella catgoria del gorgonzola al mascarpone, ma sono, adesso, un numero maggiore di zero. Un tempo non era così, riuscivo ad accogliere tutti e tutto, a mettere sottovuoto il dolore che i malesseri altrui mi provocavano. Adesso non ce la faccio più. semplicemente Non posso smettere di amarle queste persone, non smetterò mai, ma finché non riusciranno a vedere anche me nel loro rapporto con la vita, io ne faccio a meno, gli giro intorno, ogni tanto ne prendo una punta di cucchiaino, per vedere che succede, se va meglio, se oggi si accorgono di me, se stanno bene abbastanza da non farmi male, un po' come per il gorgonzola al mascarpone, che suo malgrado, mi avvelena.

11 commenti:

Gillipixel ha detto...

Queste tue metafore ordite sulle concretezze della vita sono ad un tempo edificanti e commoventi, cara metà di chimera :-)
Chi non sa ascoltare si tira già da solo una gran zappona sui piedi: vive solo del suo sè e come tale è probabilmente condannato a quella prigione per sempre...
Ascoltare non è facile, ma almeno bisogna provarci :-)
Bellissimo scritto, armonico, lineare e vellutato come un sorso d'acqua cristallina :-)

psylictch dice blogspot, una nuova forma di psicologia artigianale ma molto simpatica :-)

farlocca farlocchissima ha detto...

caro gilly mi sa che tu nella categoria del gorgonzola al mascarpone non ci finirai. :-) baci gatteschi e refrigerati

LorenZo ha detto...

A me piaceva. Il gorgonzola-mascarpone. Poi anni fa, forse spinto dall'idea di ridurre gli eccessi di grasso, ho cominciato a farne a meno ed ad inventarmi ogni sorta di scusa per declassarlo. Il gorgonzola-mascarpone è come il "vitel-tonné", cioè né carne, né pesce, o peggio, tutti e due insieme. Come il presuntuoso tentativo di abbracciare l'universo intero in un colpo solo. Dolce e salato. Dolce e selvaggio. Un prodotto per chi non è mai contento. Forse un prodotto per chi soffre di carenze affettive... Allora mi sono detto che nella vita bisogna scegliere :-) bisogna schierarsi, o di qua o di la, e prendersi le proprie responsabilità. E se scegliendo si deve rinunciare all'altra metà delle cose, bene. Ne faremo a meno. Anzi, la rinuncia è proprio la garanzia di una scelta decisa. Ben fatta. Ottimo LorenZo! Adesso mangio solo (e raramente) il gorgonzola. E che gusto pieno e deciso! Che personalità! Tra l'altro, qui, quello col mascarpone, lo snobbano tutti (proprio fanno una smorfia). Secondo me non è un caso che tu sia stata chiamata a rinunciarvi.

farlocca farlocchissima ha detto...

Lorenzo, le cose a metà tra l'essere e il non-essere qualcosa, le cose intransizione, le transizioni di fase ad esempio, sono ciò che più è bello e affascinante nella vita. il vitel-tonneé come il gorgonzola al mascarpone, è la poesia, raramente perfetta, di due mondi, acqua e terra, una metafora meravigliosa come le fettuccine ai funghi porcini contaminate con gamberetti. il dolce e il piccante del gorgonzola al mascarpone, il riuscire a miscelare gli opposti, nel gusto come nella vita, ecco cosa mi piace, altro che rinunce.

LorenZO ha detto...

Su questo potremmo anche discutere per secoli. Scegli pure di esser tutto, di riunire cielo e terra, yin e yang... però, lo saprai bene: jack of all trades, master of none ;-)
Si, la sospensione tra essere e non essere affascina, come fermare il tempo (e il giudizio). Come raggiungere l'eterno. L'essenza, senza trascendentali. Questa è poesia, convengo. Una poesia che potrebbe anche nascondere un mal-essere interiore. Da qui la ricerca della sfuocatura dell'io come conforto. Il peregrinare vano tra esseri e non esseri. Chi si ferma è perduto. O meglio dire fissato. Immortalato. Fermo. Unico. Riconoscibile. Allora, se l'istanza di "coniugazione" degli opposti nasce da una frattura interna, e sottolineo se, la soluzione è sanare la frattura, non la sua radiografia.

Ricordo che all'università ci insegnavano a darci un confine entro il quale operare. Solo definendo i limiti, dandosi dei limiti, è possibile costruire/operare. Certo, darsi un limite (come una tela 70 x 90, 2 cartelle, o 120 battute al minuto) implica delle rinunce. Ma definisce un'identità. Cosa impossibile quando si vuol esser tutto.

Ricordo che quando anni fa componevo e arrangiavo musica, lasciavo sempre le opere incompiute. Mancava pochissimo per chiudere il progetto, ma io mi fermavo sempre un passo prima. In questo modo evitavo le critiche (eh, devo ancora finirlo) e lasciavo il campo aperto a successive migliorie e sperimentazioni. Sembra una furbata ma se avessi scelto di fare il musicista in questo modo, sarei finito sotto i ponti. E anche se fossi riuscito a miscelare gli opposti, non appena girate le spalle, acqua e terra sarebbero ritornate al loro posto, come natura vuole. E con tanta delusione.

C'est seulement pour parler ;-)

farlocca farlocchissima ha detto...

lorenzo sempre pour parler: pensa un po' che per me la capacità di miscelare gli opposti e avvolgersi nelle tonalità indefinite dei colori mescolati è il simbolo della ricomposizione di sé. la capacità di essere sé stessi ed essere anche l'altro, sentire l'altro, vederlo davvero. pensa un po' che per me il gorgonzola al mascarpone, come le fettucine mare e monte, sono il segno della perfezione, perché terra e acqua stanno ognuno per conto proprio solo negli occhi di guarda la frattura invece dell'insieme. tanto per dire come la stessa cosa possa avere senso in due direzioni totalmente diverse. ciò che cambia è solo il sistema di riferimento.
sul lavorare in contesti "limitati": io non vedo rinunce neanche lì. per me definire il contesto significa scegliere il sistema di ipotesi-assiomi etc che definiranno gli strumenti con cui lavorerò, ben sapendo che sto facendo un'approssimazione e che fuori da quelli esiste altro. limito il contesto per poter concludere il discorso seppur in ambito limitato. ecco magari è per questo che non ho mai lasciato un lavoro incompiuto, l'unica cosa che mollo senza finirli sono i libri pallosi.

LorenZo ha detto...

Bel commento. A viso aperto. Mi piace molto. Anche quando scrivi "ricomposizione di sé". Ecco, per esempio, per ricomporsi bisogna esser "decomposti", presumo. Io invece mi sento in-dividuo, composto, integro, e non sento il desiderio/bisogno di ricompormi. Sorrido perché sto dando un senso leggermente diverso alle parole (ricomporsi, decomposto...). Dicevo, la vita e l'arte sono proiezioni, quindi è giusto così. La pensiamo in modo diverso ma mi fa piacere. Poi, la capacità di essere anche l'altro, non la invoco mai. Perché mai dovrei cercare l'altro nel luogo in cui non è (cioé in me stesso)? Suona un po' autoreferenziale. Al massimo potrei trovare la rappresentazione che io do dell'altro, il mio ideale dell'altro. Che poi se non coincide con l'originale (dell'altro) son dolenti fregature. Preferisco stare al mio posto, com-posto :-) e essere null'"altro" che me. Altro che altro! Gli altri son di fronte a me :-)

P.S. Qui dicono che solo il gorgonzola peggiore finisce per essere mischiato al mascarpone, per nasconderne la cattiva qualità. Un po' come la macedonia al ristorante...

farlocca farlocchissima ha detto...

lorenzo: il tuo commento mi da da pensare. cosa viene a fare uno che si sente un tutto unico, una completa unità, che ha bisogno di vedere l'altro come cosa separata, staccata da sé e quindi distante da sé, su di un blog come questo? questo è palesemente un luogo destrutturato, un luogo in cui si naviga a vista chiedendosi come mai di tutto, cercando in sé e nell'altro da sé le tracce di una comune umanità. un blog in cui si accettano mezze chimere che cantano di cose lontanissime, sirene sparpagliate e frammentarie, intrise di dubbi e senza mai risposte definitive. come mai ci frequenti da queste parti? noi decomposti e ricomposti tutte le mattine quando ci svegliamo, gente che a volte fa fatica ad alzarsi dal letto, ma che sempre si rialza (come dice un mio amico) o almeno fino al giorno in cui non vedrà un perché nel farlo e allora si girerà dall'altra parte, lasciando il mondo a chi è convinto di bastare a sé stesso.
lorenzo ma non sarà che ti senti solo così?

Ps. io compravo il gorgonzola da uno che lo produceva e faceva una specie di golden edition limitata, il miglior suo gorgonzola e il miglior suo mascarpone.

LorenZo ha detto...

Non ci siamo :-) Il fatto di sentirsi composti non vuol dire bastare a se stessi. Anzi. Si è nelle migliori condizioni per poter affrontare un dibattito, un dialogo, fare nuove esperienze, cambiare opinione, interagire e crescere con gli altri. Appunto, con gli altri, che non sono io. Questo blog è bello. Per questo lo frequento, se ti va. Ogni volta che ho tempo ne leggo un post. Poi mi piacciono le tue risposte. Però lui, il blog, sta lì dentro lo schermo, lo gestisce una ragazza di nome Farlocca, mentre io sto di qua, e il mio nome è LorenZo. Non è superbia questa.

Magari uno pensa di fare da spalla alla Farlocca, quando si lamenta del mondo, così perché sente delle tangenze, le vorrebbe suggerire di spostare il punto di vista e poi si ritrova dipinto come la superbia. Non l'avevo previsto.

farlocca farlocchissima ha detto...

lorenzo sono le nostre parole che ci dipingono. ma scusa se vuoi fare la spalla per le lacrime dillo invece di attaccare a due mani il mio alimento preferito e le ragioni per cui lo è. sarà pure una perversione ma a me piace :-)

LorenZo ha detto...

Dovevo fare il lottatore di sumo. Chissà che carriera!
Buona fortuna ;-)