domenica 15 agosto 2010

Ferragosto cittadino

Eccomi qua il 15 di agosto ad ascoltare le campane del mattino in quel di Roma. Eccomi qua a scrivere, un po' perché ho delle scemenze da dire, un po' perché London Alcatraz mi ha messo ansia con il suo post ferragostano, mica voglio farmi cancellare dal suo blogroll! (potete sentirmi sghignazzare anche da lì).
Ferragosto a Roma è sempre stato bellissimo. 
Un tempo la città  era davvero deserta, i residenti o se ne erano andati in vacanza altrove già da tempo o provvedevano a sparire entro l'ora di pranzo in direzione del mare o delle campagne limitrofe. Se si andava al mare, ad esempio ad Ostia, la densità umana era degna della metropolitana di Tokio all'ora di punta. Per ciascun ombrellone si trovavano almeno 3 generazioni di romani, con annesse borse e sporte contenenti l'equivalente di un banchetto di nozze. Chiaramente otri di vino accompagnavano il tutto, con successivi numerosi incidenti sulla via del ritorno la cui gravità era moderata solo dalle lunghe code e conseguente bassa velocità. Numerosi ricoveri per colpi di calore e insolazione allietavano la festa di fine estate del personale degli ospedali romani, insieme alle numerose presenze al pronto soccorso di chi, magari tormentato dal mal di testa, non riusciva a trovare un'aspirina in tutta la città. I reparti psichiatrici erano sempre pieni. Anche solo per il senso di solitudine che la città vuota comunicava molti, tra gli individui più fragili, preferivano star lì dove almeno c'era sicuramente tanta gente.
Chi, come me, restava entro il Grande Raccordo Anulare e aveva un equilibrio mentale semi-ragionevole, viveva un'esperienza  affascinante. La città era di noi pochi e dei turisti, si stava come sospesi nella totale assenza di qualunque servizio, dalla farmacia, al ristorante, al bar: tutto chiuso.  Guai a finire le sigarette il 15 agosto! Un'estate, da adolescente, rimasi in città con alcuni amici, chi dimenticato dalle famiglie, chi rimandato a settembre e quindi messo in punizione  (per inciso diciamo pure che lasciare un'adolescente da sola a casa per alcune settimane, non è esattamente una punizione...) Quell'anno lì l'unica attività commerciale che trovammo in funzione fu lo spacciatore di droghe leggere del quartiere che quasi ci abbracciò vedendoci arrivare. 
Gli autobus erano pochi e facevi prima ad andare a piedi che ad aspettarne uno. A Ferragosto sviluppavi  capacità di sopravvivenza in condizioni estreme  (il che, come noto,  è sempre utile).

Oggi le cose sono cambiate. La città è solo parzialmente svuotata, i servizi ci sono tutti e le orde con sporte alimentari sono meno numerose. La città è sempre bella, anzi bellissima, ti godi le strade, il rumore si è ridotto ad un brusio di fondo, il cielo è di un azzurro confortante e luminoso. Nell'aria  c'è la promessa di una giornata quieta, di una lunga passeggiata serale tra le epoche che, qui, convivono in ogni angolo, ricordando a chi vuol ricordare,  quali sono le cose che restano e quelle che se ne vanno.


2 commenti:

Gillipixel ha detto...

Che bel ritratto tenero fra i meandri dello spazio-tempo, Farly :-)
Un bel modo di iniziare il Ferragosto come lettore appagato, grazie :-)
"Roma capoccia" è una grande canzone, perfetta per ciò che hai scritto...la sua grazia e la sua poesia sono in-scalfibili, resistono persino allo sberleffo dell'imitazione vendittiana di Corrado Guzzanti :-)
Deve essere proprio una grande canzone :-)
Bacini ferragostani di ieri e di oggi :-)

farlocca farlocchissima ha detto...

ecco roma capoccia è bella, ma c'ho messo un po' a scegliere tra questa e il grande raccordo anulare di guzzanti... scemeggiando per scemeggiare, mi sembrava abbastanza adatta pure quella :-)