Era qualche anno fa. Ero a Delhi, mi rendeva felice quel viaggio. All'arrivo si erano persi il bagaglio, faticai a trovare un taxi, c'era un gran casino, un traffico che anche per un romano era troppo. Stordita, arrivai in albergo al centro di New Delhi e per qualche giorno, per poche ore in fondo, vagai tra le strade di Delhi, con la nebbia invernale, una bruma soffice che rende ancor più straniante l'effetto del fuso orario e del luogo così diverso. Felice possessore del solo spazzolino da denti, mi concessi una breve pausa prima dell'arrivo della valigia e l'inizio del lavoro. In India ci sono sempre andata a lavorare, solo come effetto secondario mi sono potuta permettere di perdermi nelle sue strade, nei luoghi antichi, tra la gente, guardarmi intorno, immergendomi nell'effetto caleidoscopio che la caratterizza (è il mio caleidoscopio gigante preferito). Ogni volta mi sono, felicemente, lasciata inghiottire, modificare e arricchire cercando di non porre barriere mentali tra me e le impressioni che ricevevo.
Esistono luoghi così, talmente diversi da noi in apparenza, da pensarli estranei, mentre poi, scopri che li avevi già dentro. E' una scoperta di una parte di te che risuona con ed in quel luogo. Per ogni viaggiatore una parte diversa. In me l'India dei santoni, della magia, delle migliaia di dei che convivono, non risuona, quella che mi ha parlato ogni volta è l'India dell'infinita vitalità. Una sensazione di immensa capacità vitale che, oltretutto, riproduce se stessa da migliaia di anni; un qualcosa che mi ha nutrito e incantato in ogni occasione. In quel viaggio, in particolare, penso mi abbia tenuto in vita (potete pure chiedervi cosa avessi fumato-mangiato, io nego ogni uso di sostanze stupefacenti, almeno in quell'occasione). Non sapevo di essere fisicamente in pericolo, avevo un problema che stava diventando mortale, non lo sapevo, sentivo di essere a rischio, ma non capivo né come, né perché. Eppure sono ancora qui, ho girato per quella terra, ho lavorato e sono riuscita a goderne nonostante tutto. Cominciavo a star male sul serio, ma fu come una tregua, una sosta, fu come se avessi il permesso di fare quel viaggio...
Ripenso a quei giorni, a quando sono tornata, al medico che mi ha "ripreso per i capelli" e al quale sarò sempre grata. Ripenso al febbraio di quell'anno, quando, uscendo dall'ospedale, non potevo ancora credere di essere lì a respirare. Penso a quei giorni forse perchè ricorrono ora e con prepotenza, torna a tratti, dalla memoria, la sensazione fisica di gioia, di sorpresa, che provai nel rendermi conto di essere ancora viva. Con quel ricordo vitale riaffiora anche il dolore e con lui la paura, ed anche il rimpianto per alcune cose che non potranno mai essere, tutte sensazioni che solo ora comincio a digerire. Penso, sopratutto, a tutte le volte in cui si ha una seconda possibilità.
Esistono luoghi così, talmente diversi da noi in apparenza, da pensarli estranei, mentre poi, scopri che li avevi già dentro. E' una scoperta di una parte di te che risuona con ed in quel luogo. Per ogni viaggiatore una parte diversa. In me l'India dei santoni, della magia, delle migliaia di dei che convivono, non risuona, quella che mi ha parlato ogni volta è l'India dell'infinita vitalità. Una sensazione di immensa capacità vitale che, oltretutto, riproduce se stessa da migliaia di anni; un qualcosa che mi ha nutrito e incantato in ogni occasione. In quel viaggio, in particolare, penso mi abbia tenuto in vita (potete pure chiedervi cosa avessi fumato-mangiato, io nego ogni uso di sostanze stupefacenti, almeno in quell'occasione). Non sapevo di essere fisicamente in pericolo, avevo un problema che stava diventando mortale, non lo sapevo, sentivo di essere a rischio, ma non capivo né come, né perché. Eppure sono ancora qui, ho girato per quella terra, ho lavorato e sono riuscita a goderne nonostante tutto. Cominciavo a star male sul serio, ma fu come una tregua, una sosta, fu come se avessi il permesso di fare quel viaggio...
Ripenso a quei giorni, a quando sono tornata, al medico che mi ha "ripreso per i capelli" e al quale sarò sempre grata. Ripenso al febbraio di quell'anno, quando, uscendo dall'ospedale, non potevo ancora credere di essere lì a respirare. Penso a quei giorni forse perchè ricorrono ora e con prepotenza, torna a tratti, dalla memoria, la sensazione fisica di gioia, di sorpresa, che provai nel rendermi conto di essere ancora viva. Con quel ricordo vitale riaffiora anche il dolore e con lui la paura, ed anche il rimpianto per alcune cose che non potranno mai essere, tutte sensazioni che solo ora comincio a digerire. Penso, sopratutto, a tutte le volte in cui si ha una seconda possibilità.
«La lezione più importante che l'uomo possa imparare in vita sua non è che nel mondo esiste il dolore, ma che dipende da noi trarne profitto, che ci è consentito trasformarlo in gioia.»
Tagore
Tagore