giovedì 4 giugno 2009

Ricordo di te


E' l'alba di un giorno di maggio e sto correndo in aeroporto. C'è il sole, siamo in due, corriamo contro il tempo sperando di poter mantenere la promessa fatta. Arriveremo in tempo? Lei è in fin di vita e ci eravamo promessi di ritrovarci ancora una volta prima della fine, la promessa ce l'eravamo scambiata appena 15 giorni prima. Il viaggio, per altro breve, sembra non finire mai. Il treno dall'aeroporto alla città, in perfetto orario, mi sembra vada a passo di lumaca e invece sfreccia. Scendiamo alla stazione, saltiamo sulla metro e ci catapultiamo all'ospedale. Lei è lì, piena di morfina, incosciente. Quando mi avvicino cambia un po' il ritmo del suo respiro, mi vengono le lacrime agli occhi davanti a tanta sofferenza. Penso "molla, vai, siamo qui abbiamo mantenuto la promessa, ora basta dolore." C'è sua madre, ci guardiamo, ci stringiamo una mano. E lei mi dice "Ora basta no?" annuisco. Usciamo dalla stanza è arrivata l'infermiera. Decidiamo di andare un momento a posare la valigia, l'infermiera dice che lei è stabile e che potrebbe restare così a lungo. Andiamo in albergo. Poggiamo le valige. Suona il telefono "Vi ha aspettato... ora è andata via...". Mi alzo, ci alziamo, ritorniamo in ospedale. Nella stanza entro io con la madre e la sorella. Facciamo ciò che le donne fanno spesso in questi casi: la prepariamo. La guardo, ora con il volto disteso, senza più ombra di sofferenza, è di nuovo bellissima , così come me la ricordavo. Non parliamo, non vogliamo pensare a nulla di ciò che seguirà, al vuoto, alle conseguenze, ai figli di lei adolescenti e fragili, a noi che restiamo.
Esco. Siamo all'ultimo piano di un palazzo molto alto, la luce del primo pomeriggio entra calda dalle finestre e dai lucernai. E' quasi una nebbia dorata che avvolge ogni cosa. Non ci sono lacrime, non c'è altro che un senso di ineluttabilità, di qualcosa di compiuto, un sottile sollievo per la fine di una sofferenza. Improvvisamente sento un canto, una voce di donna che intona parole in una lingua sconosciuta. Sua madre è accanto a me. Una seconda voce si unisce alla prima, poi un'altra e un'altra ancora. Il canto ha un suono che evoca qualcosa di antico. "cosa è? è così bello..." mi dice, scuoto la testa e comincio a seguire il suono. Cammino nel corridoio, ne imbocco un altro, arrivo davanti ad una stanza, da lì emerge il canto. In un letto è steso un uomo anziano, un africano. Attorno a lui quattro donne in costume tradizionale, cantano. La luce entra trasversale, sfiora le donne, avvolge i piedi del letto, il vecchio sorride, le donne si voltano e mi sorridono. Il canto è finito. Sorrido e mi giro tornando indietro. Un senso di calore mi avvolge, penso a quanto speciale sia questo momento, non trovo un senso specifico, una ragione. Sento solo, con ogni fibra del mio corpo, il momento presente.
Sono passati 5 anni da allora, forse, ora, riesco davvero a dirti, a dirmi che mi manchi enormemente. Buon viaggio amica mia.


4 commenti:

Gillipixel ha detto...

stavolta non riesco a dire nulla, Farly...perchè nulla si può dire, credo...solo grazie per questa testimonianza così profonda...

farlocca farlocchissima ha detto...

:-) grazie era una cosa proprio solo per ricordare :-)

Anonimo ha detto...

la lettura evocava quanto mi hai affidato ieri sulla terrazza.
mi hai fatto piangere.
ti ho detto che l'ho conosciuta un capodanno? abbiamo chiacchierato per ore... stupenda!
ti voglio un sacco bene
a.

farlocca farlocchissima ha detto...

sì me lo ricordo che c'eri anche tu, fu un gran bel capodanno e lei era meravigliosa, con la sua intelligenza straordinaria e tutto il resto. Ti voglio bene anch'io lo sai :-)