Di nuovo prendo il ferry per New York. Di nuovo arrivo dal mare nella città che preferisco dopo Roma. Arrivo e cammino per ore. La mostra per il centenario di Francis Bacon al Metropolitan (m e r a v i g l i o s a, ecco se vi piace Bacon ovviamente), poi un'ora immersa nell'arte orientale con nelle orecchie musica barocca (lo so fa radical-chic-pretenziosa ma ditemi se non è una cosa bellissima), poi si cammina con le nuove amiche, ci si perde per le strade di Downtown, ci si riempiono gli occhi di visioni riprese da innumerevoli telefilm, dall'iconografia classica newyorchese. Qui ci potrei tornare a vivere, lo penso ogni volta che ci vengo. Qui mi potrei trasferire e stare a lungo, con il genius loci di New York ci vado d'accordo. Non è stato un colpo di fulmine. Quando arrivai qui negli anni '90 odiai il cemento, odiai il freddo e il casino, mi sentii infelice, divorata, sola anche se non lo ero fisicamente. Poi, come a volte accade con i grandi amori, qualcosa cominciò a cambiare. Dopo qualche mese mi resi conto che stavo prendendomi una cotta per quelle strade, per i mercatini, per il casino, persino la metropolitana mi stava facendo innamorare. Ora, a distanza di 18 anni, posso ben dichiarare che questo, tra me e il genius loci della Big Apple, è un grande amore. Arrivo e sorrido, non importa cosa mi stia succedendo in quel momento, torno tra le braccia di un amante. Anche oggi, anche se il palmare di botto si connette ad una rete wifi e mi scarica tre email di rotture di palle lavorative (mannaggia a me potevo spegnerlo!!!), nemmeno quelle rovinano il sorriso.
Verso sera è il momento dell'addio. Tra poco partiamo, ci aspetta un road trip verso sud con mete non completamente precisate. Noi gruppetto di vecchi fricchettoni, nonostante le buone riuscite di carriera, non riusciamo mai a programmare a dovere quando si tratta di tempo libero, ci buttiamo sulla strada ("let's hit the road on Saturday heading South") e poi vediamo. Salgo sul ferry per tornare in New Jersey, alzo gli occhi e vedo un turbine di nuvole nere che si addensano su Manhattan, sembrano uscite da un film catastrofico, uno di quelli in cui dal mega-turbine nero esce lo zampone dell'alieno perfido e aggressivo che ucciderà tutti e lancerà camion contro i grattacieli e magari anche qualche nave di grosso tonnellaggio. Lo spettacolo è straordinario, anche se un vago senso di inquietudine aleggia, dopo tutto mi aspetta un'ora di mare prima di toccare terra di nuovo. La corsa comincia, il ferry va a massima velocità mentre le nuvole ci inseguono, corre, corre, ma a pochi metri dalla prima fermata arriva la tempesta. Un muro d'acqua ci investe, il vento quasi sbatte la nave contro il molo (ed è bella grossa). Attraccano. Restiamo là in attesa che si calmi, il vento urla intorno, dato che mi sento al sicuro mi godo lo spettacolo. Poi si riparte, si attracca di nuovo, piove poco ora, scendo. Mi avvio alla macchina che mi hanno prestato e vado ad imboccare l'unica strada che conosco per tornare a casa... ecco è chiusa causa alberi caduti. Ora concentratevi, immaginate la Farlocca in macchina, sotto la pioggia, in un luogo in cui non conosce le strade e provate a indovinare quanto ci ha messo ad inventarsi un modo per tornare a casa che dista si e no 15km.... un'ora e quarantacinque minuti e senza smadonnare.
Verso sera è il momento dell'addio. Tra poco partiamo, ci aspetta un road trip verso sud con mete non completamente precisate. Noi gruppetto di vecchi fricchettoni, nonostante le buone riuscite di carriera, non riusciamo mai a programmare a dovere quando si tratta di tempo libero, ci buttiamo sulla strada ("let's hit the road on Saturday heading South") e poi vediamo. Salgo sul ferry per tornare in New Jersey, alzo gli occhi e vedo un turbine di nuvole nere che si addensano su Manhattan, sembrano uscite da un film catastrofico, uno di quelli in cui dal mega-turbine nero esce lo zampone dell'alieno perfido e aggressivo che ucciderà tutti e lancerà camion contro i grattacieli e magari anche qualche nave di grosso tonnellaggio. Lo spettacolo è straordinario, anche se un vago senso di inquietudine aleggia, dopo tutto mi aspetta un'ora di mare prima di toccare terra di nuovo. La corsa comincia, il ferry va a massima velocità mentre le nuvole ci inseguono, corre, corre, ma a pochi metri dalla prima fermata arriva la tempesta. Un muro d'acqua ci investe, il vento quasi sbatte la nave contro il molo (ed è bella grossa). Attraccano. Restiamo là in attesa che si calmi, il vento urla intorno, dato che mi sento al sicuro mi godo lo spettacolo. Poi si riparte, si attracca di nuovo, piove poco ora, scendo. Mi avvio alla macchina che mi hanno prestato e vado ad imboccare l'unica strada che conosco per tornare a casa... ecco è chiusa causa alberi caduti. Ora concentratevi, immaginate la Farlocca in macchina, sotto la pioggia, in un luogo in cui non conosce le strade e provate a indovinare quanto ci ha messo ad inventarsi un modo per tornare a casa che dista si e no 15km.... un'ora e quarantacinque minuti e senza smadonnare.
5 commenti:
bella foto e invidio la mostra su bacon! (oltre che tutto il resto)
eeheeeh in effetti la mostra su bacon è veramente da invidiare :-)
questi tuoi resoconti di viaggio sono piccole gemme preziose di americanità, Farly :-)...molto bello
sphaug, dice blogspot, un misto di ammirazione, immaginazione innescata e un pizzico di invidia pure io :-)
be' a me è capitato più volte di impiegare un'ora per percorrere i 15 km che separano lavoro e casa, e sapendo benissimo dove andare. Quindi la tua ora e quarantacinque non è poi una brutta prestazione, dài.
ebbene rieccomi, bello trovarvi qui a commentare :-) ora vi propino qualche altro pezzetto di america ...
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