Nell'augurare un meraviglioso 2010 a tutti, ma proprio tutti i frequentatori (fissi, occasionali e sporadicamente presenti) di codesto salotto-cortile-aia-vicolo-piazza-sgabuzzino virtuale, vorrei proporre un coretto di elevata moralità ed invocante alla buona sorte, un coro che esemplifichi la qualità suprema dell'anima nostra, del livello culturale sempre sopraffino, dello splendore illuminato del nostro intelletto:
giovedì 31 dicembre 2009
martedì 29 dicembre 2009
Addestramento*
Il telefono squilla, è un apparecchio grigio a tastiera, sta lì accucciato sul ripiano basso della libreria bianca in camera della madre. Squilla e vibra, la madre non risponde. Lo guarda alzando appena gli occhi dal libro, lo osserva da sopra gli occhiali che ha lasciato scivolare verso la punta del naso. Il telefono smette di suonare, parte la segreteria telefonica, una voce d'uomo, ossequiosa, quasi untuosa "Signora, cara sono XXX la cerco da un po'... sa avrei davvero bisogno di parlarle, quando può con comodo mi richiami... care cose" . La madre riprende a leggere scuotendo la testa e le spalle come a liberarsi di qualcosa, solo dopo alcuni secondi si accorge della figlia adolescente che la guarda dal vano della porta. La sua sgraziata creatura, sovrappeso e tanto, troppo intelligente "Be' non ci volevo parlare" le dice e sul viso aristocratico le spunta un'espressione da monella, quell'espressione che la figlia conosce bene, quella "faccia da impunita" che lei non sa riprodurre e che trova assolutamente affascinante. "Sì mamma, ma quello chiama 15 volte al giorno e io ho finito il repertorio cazzate da raccontargli... magari potresti dirglielo che lo scarichi... no?" la madre riporta gli occhi al libro "uhm, no, poverino ci resterebbe male... tanto tu mi fai da filtro vero?" e la guarda di traverso con il suo sorriso bambinesco, la figlia sbuffa "mamma io non ne posso più di raccontare balle ai gatti bagnati che raccatti e poi scarichi!" si gira di scatto e va via.
"Non ne posso più di inventare fesserie per arginare gli impiastri che mamma scarica!" due ragazzine sedute sui gradini dell'ingresso. Una magrissima e scura, l'altra giunonica e con la pelle chiarissima. "la vedi come fa? prima accoglie casi umani assortiti, non si lascia nessuno in mezzo a una strada, dice lei" la ragazzona si scosta un ciuffo dei capelli disordinati dal viso, gli occhi rivolti al suolo "li rimette a posto e quando stanno in piedi da soli, li scarica... senza dirglielo però ... e io lì a raccontare cazzate spremendomi la testa e lavorando di fantasia!" la ragazzina magra ride "ma dai che ti sta addestrando a diventare una romanziera!" l'altra sorride e alza gli occhi da terra "ma ché! mi sta solo addestrando a diventare una vera bugiarda!" ridono insieme, cercano di dimenticare il loro stato di abbandono, di ragazzine che nessuno vede, passano ad altro, al ragazzo appena conosciuto, al motorino che sognano, parlano di libri, di amori immaginari, si immergono nei loro discorsi da adolescenti brutte e sole.
Sono passati anni da quei giorni sui gradini. La ragazzona è diventata una donna atletica, ha sempre la pelle chiarissima anche se è estate, non ha quel vestire aristocratico della madre, niente abiti firmati, solo coloratissime sete da bancarella. Oggi siede nello studio del suo professore, lavora ad una tesi di dottorato che sta prendendo una gran bella forma, piena di risultati originali e di idee nuove. Sia lei che il professore sono molto soddisfatti. Lei poi è al settimo cielo, ha da anni una cotta per quell'uomo di mezza età, gentile, sempre impeccabile, estremamente intelligente e sotto sotto, un po' stravagante. Per lui si getterebbe nel fuoco ed ogni sua parola di elogio la rende felice per giorni. E' anche questo, come quello per la madre, un suo amore senza speranza, ma non le importa, oggi è qui nel suo studio e può godersi almeno un'ora della compagnia del suo idolo. Certo non è facile, il telefono squilla spesso, la gente bussa ancor più spesso, tutti lo cercano il suo idolo, chi per un consiglio, chi per un semplice caffè, chi per rimproverargli questo o quello. E' un catalizzatore di guai e "gatti bagnati", di disgraziati e brillanti scienziati con turbe della personalità. Un accademico sui generis, uno che quando ci sarebbe da tirare il colpo di grazia si ferma, sospende, "poveraccio" o "poverina" dice "lasciamo perdere che sta già abbastanza male" e non affonda il coltello. Ha carisma il suo prof. e non sa dire di no. Lo cercano, lo cercano e lui da udienza a tutti o quasi. "Prof... così non la finiremo mai 'sta lettura della tesi... prof... c'è una scadenza molto molto vicina" mormora e lo guarda implorante. Lui le rivolge uno sguardo sperso... "lo so mannaggia! senti adesso stacco il telefono anzi i telefoni, spengo anche il cellulare, vedi? ..." dice chiudendo l'apparecchio e staccando il ricevitore del telefono fisso "e sono tutto per te" sorride un po' sornione e lei ha il solito tuffo al cuore "ma se bussano e entrano non so che fare, mica mi posso nascondere sotto la scrivania!" aggiunge il prof allargando le braccia "eh, mica sarebbe una cattiva idea... " sorride lei.
Lavorano, leggono, cambiano frasi aggiustando l'inglese, sistemano equazioni, immersi in quella bolla di complicità e piacere intellettuale. Bussano, colpi imperiosi, lo sanno entrambi di chi sono, si guardano per un istante e lui è già sparito. La porta si spalanca, il collega anziano entra con passo deciso. L'anziano professore è sempre imperioso, incede non cammina, grandi falcate sicure spostano il suo corpo massiccio, lui non entra in una stanza, no, lui fa un ingresso in palcoscenico, sempre. "Dov'è quel disgraziato del tuo tutor?" esclama stentoreo "lo so che era qui fino a poco fa!!" esplodono le sillabe a riempire l'aria. Lei alza gli occhi pieni di innocenza e fissa direttamente il decano, un effluvio di perfetto candore emana da tutta la sua persona "Mi spiace professore, ma il prof. non c'è, mi ha mollato qui ed è andato via di fretta... non so ha ricevuto una telefonata, credo fosse qualcuno di importante, sa, gli dava del lei... ecco mi ha detto di aspettarlo qui..." la voce le trema, gli occhi le sono diventanti due abissi, trasudano sconforto, anche la postura parla dell'abbandono subito, le spalle lasciate un po' cadenti, il collo leggermente piegato da un lato, la fronte corrugata. Il decano si ferma un po' sconcertato "Be' ... ehm digli che sono passato... ho urgenza di parlargli... e... insomma, digli che è un disgraziato!" bofonchia, si gira e se ne va.
Lentamente da sotto la scrivania il prof. riemerge, ha i capelli un po' scomposti, un'espressione tra il perplesso e il divertito "Certo che sei proprio brava a dir cazzate!" esclama piano, sia mai che il decano senta la sua voce ed irrompa di nuovo. "uhm prof.: sono stata molto ben addestrata." sorride lei guardando il suo idolo.
ogni riferimento a persone o fatti reali è puramente strumentale alla costruzione del racconto di fantasia
*dedicato a chi ci si riconosce, caso mai dovesse passare di qui
sabato 26 dicembre 2009
Passioni
da ascoltare mentre si legge
"Io sono una persona passionale" dice il padre alla figlia "ed è, alla fine, per questo che con te litigo così... violentemente" fa una pausa passandosi la mano sul viso. Sono in salotto nella casa in cui lei si è nascosta, hanno litigato ferocemente, anzi, lui ha litigato con lei ferocemente. Il padre è rosso in viso, la figlia non mostra nulla, lo guarda in silenzio "certe volte stai lì, fai delle cose terribili senza che traspaia un'emozione... le fai a te non agli altri... questo tuo modo mi fa uscire di testa". E' stanco quell'uomo e la figlia tace. Nel tacere delle loro voci si sente il mare e il frusciare dei rami, "Babbo….." mormora e le parole non escono, non è una bambina da un pezzo e il padre è un anziano signore - lui dice di non essere più un ragazzino. In fondo, vorrebbe solo deporre le armi e stare tranquilla. Guarda quell'uomo straordinario che, a più di settant'anni, ha ancora la vitalità per infuriarsi con tutta l'anima, per gridare al mondo rabbia e amore. Lo guarda e vede, con tristezza, tutto quello che lei ha cercato di fuggire, quel vortice di emozioni, un gorgo potente che si scatena e travolge ogni cosa senza riguardo per grandi o piccoli, per forti o deboli. E' in quel gorgo che è cresciuta senza sapere come gestirlo, in quel mare, troppo spesso in tempesta, che l'ha quasi affogata. Il padre, rassegnato a quei silenzi, si siede sul bracciolo del divano "oggi non parlo delle mie passioni, di quelle di tua madre o di chissà chi, parlo delle tue... " alza gli occhi quel vecchio egoista e fin troppo intelligente, la fissa. Poi distoglie lo sguardo e lo lascia vagare sul mare, "non puoi restare qui, non puoi fuggire dalla tua vita e sprecare anni di lavoro solo perché non hai mai imparato a gestire i tuoi demoni" dice senza guardarla, "non è giusto un simile spreco" mormora quasi a sé stesso "Non conosco i dettagli degli ultimi mesi della tua vita, sei ben più che adulta e se non ne parli è affar tuo, non so cosa tu abbia combinato e perché, ma so che non sei mai cambiata da quando eri piccola… tu o sali sulla barricata con il fucile o te ne vai… ora però te ne sei andata per troppo tempo… lo so che ci hai provato, lo so, sei un capo laboratorio, sei una scienziata di alto livello, non … merda … non puoi mollare tutto e andar via!! non puoi nasconderti quasi tre mesi in questa cazzo di tana a far nulla!! che cazzo fai tutto il giorno qui? guardi il mare? conti gli aghi di pino?" si sta infuriando di nuovo, ma la guarda e smette.
La figlia continua a tacere, assorbe le parole del padre, ne assorbe la verità, sente i suoi demoni gorgogliarle nella pancia, ascolta il gorgo che è anche suo e che lei vuole cancellare, ignorare, fuggire. Per questo si è nascosta, per questo ha gettato la spugna ed è scesa dalla barricata, per dirla con le parole del vecchio. Lui che ha guidato per ore per trovarla e parlare di persona, lui che non c'è mai se lo cerchi, ma solo quando vuol farsi trovare. Lui è venuto fin là per dirle quello che pensa. "che gran gesto d'amore … e di prevaricazione" pensa lei e sorride. "Babbo perché non la smettiamo?" raddrizza la schiena e si sposta dalla madia a cui si è appoggiata, come a difendere la schiena, a cercare sostegno, "ho una buona bottiglia, dei pomodorini eccezionali e faccio una pasta. Magari un po' piccantina che ho dei peperoncini fetenti che sono una meraviglia" sorride. "Qui non si fa proprio nulla finché non spieghi o mi garantisci che torni" il vecchio non molla; stavolta è come quando da bambina e da adolescente raccontava bugie che lui scopriva, finché non saltava fuori la verità lui non la mollava, oggi non c'è strategia diversiva che tenga. Lei si appoggia di nuovo alla madia "non c'è nulla da spiegare, non ne posso più e basta. Te l'ho già detto. Non ce la faccio più a star lì a combattere contro i mulini a vento, con la mancanza di soldi per lavorare, con le mezze-calzette che mi passano sulla testa, con gli uomini sbagliati che mi scelgo… babbo se tu non sei più un ragazzino, io sono una signora di mezza età, con un pugno di mosche in mano, senza una vita affettiva, senza figli… non che non ci abbia provato, lo sai, ma sono un'incapace su questo lato… là dove sono capace il mondo mi crolla addosso e mi sento vecchia per puntellarlo… o per ricominciare da capo un'altra volta" parla senza guardarlo, le scende una lacrima sul viso rivolto alla finestra, gli occhi persi sul mare. "le passioni bruciano, consumano e poi finiscono… forse la mia per la scienza è finita…" il vecchio si alza di scatto "Cazzate! Stai facendo la lagna come una ragazzina! Tu sei una guerriera, la mia guerriera.... lo hai dimostrato a me, a te stessa e a tutti mille volte… che è adesso 'sta lagna? che vuol dire non ce la faccio più?" si ferma di colpo nel suo gridare, guarda quella donna che è sua figlia, vede di nuovo la sua bambina di 6 anni che si è rotta una spalla e sta zitta, una bambina che non piangeva mai, che però, quel giorno, non ce la faceva neppure a muoversi. A quarant'anni di distanza è la stessa cosa, si è rotto qualcosa in quella figlia sua, sta ferma e respira piano, con attenzione, perché ogni respiro fa male. Si ferma il vecchio, come allora si ammorbidisce, mette da parte la sua ira, la sua ansia. Lui non sa cosa sia successo, se c'è stato un fatto specifico, se c'è stato un ennesimo uomo "sbagliato" che sua figlia ha scelto o se un qualche collega ha affondato il coltello un po' più a fondo, una volta di troppo; a questo punto non importa, cè solo quella figlia rotta da riparare ancora una volta. "Va bene,…" allunga una mano a farle una carezza "che vino hai? magari un bicchiere … ecco sì una pasta ci sta bene…" la guarda negli occhi ora; occhi cangianti, ora scuri, ora chiari, come i suoi, schermi in cui, per un attimo, scorrono i dolori di una vita intera provocandogli un brivido gelato lungo la schiena. Si soffia il naso, lei, raddrizza la schiena, si gira, prende la bottiglia e la passa a lui per aprirla "Ora preparo e poi starò qui tranquilla" alza la testa a guardarlo negli occhi, "puoi strillare quanto vuoi, finché non sarà il momento io starò qui… a contare aghi di pino…" Sorridono entrambi, lo sanno che lei tornerà, lo sanno che farà come dice lui, ancora una volta, perché lei è come lui, come la madre che non c'è più: condannata ad essere un combattente, senza speranza di fuga. Si accende una sigaretta e mette l'acqua sul fuoco "E piantala di fumare che così t'ammazzi" "Babbo, non rompere i coglioni". Mentre l'olio comincia a sfrigolare nella padella e l'acqua a scaldarsi, un falco pellegrino volteggia davanti alla finestra, plana, risale e poi va.
da ascoltare alla fine.
e come dice galatea: è un racconto di fantasia, che non fa riferimento a persone, luoghi o avvenimenti reali....
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lunedì 21 dicembre 2009
Solstizio
Seduta sul divano aspetti che ti passi il raffreddore, la tosse, qualche linea di febbre. Stai lì e per forza devi stare a casa. Un po' lavori, un po' cincischi su internet, un po' chiacchieri al telefono o su skype. Aspetti che i colpi di tosse si diradino, che magari fuori faccia meno freddo. Stai buona buona in una nicchia accoccolata al caldo. Ripercorri nei ricordi gli anni, cosa è successo questo giorno gli anni passati? Fai una lista di cose, intorno al solstizio d'inverno ne sono sempre capitate tante nella tua vita. Scorri i solstizi, ricordi, fai due conti e guardi con sollievo il calendario, presto saremo oltre. Tra poco le giornate ricominceranno ad allungarsi, tra poco comincerà a tornare quella strana sensazione di speranza che l'anno nuovo ti comunica. Sei asincrona, per te l'anno nuovo arriva al solstizio, entri nell'inverno e nel tempo nuovo. In quel giorno, da sempre, è come se ti accoccolassi sotto la neve, in una tana di marmotta, di solito ti metti in sospensione a raccogliere le forze. Immobile metabolizzi l'anno passato, lo accarezzi e lo coccoli, ne accogli le lacrime, ne abbracci i sorrisi, ti lasci avvolgere come un mantello dal tessuto fatto di attimi che hai costruito quest'anno. Quel tessuto forma un baccello, ti ci sdrai dentro, sei diventata un seme, lo sai, tra non molto arriverà il momento di cominciare a germogliare di nuovo.
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lunedì 14 dicembre 2009
Have you ever seen the rain
perché un lunedì con la pioggia a dirotto va preso così...
Someone told me long ago
They were gone before the storm
I know, it's been coming for sometime
Be it so, and so I say
Little rain and sun by day
I know, shining down like water
I wanna know, have you ever seen the rain
Coming down, down this day
Coming down, down this day
Yes for days and days before
Sun is rain and cold is hot
I know, in this place got all my found
Thru the circles fast and slow
There for every moment goes
I know, I can't stop, I wonder
I wanna know, have you ever seen the rain
I wanna know, have you ever seen the rain
Coming down, down this day
I wanna know, have you ever seen the rain
I wanna know, have you ever seen the rain
Coming down, down on a sunny day
I wanna know
Someone told me long ago
They were gone before the storm
I know, it's been coming for sometime
Be it so, and so I say
Little rain and sun by day
I know, shining down like water
I wanna know, have you ever seen the rain
Coming down, down this day
Coming down, down this day
Yes for days and days before
Sun is rain and cold is hot
I know, in this place got all my found
Thru the circles fast and slow
There for every moment goes
I know, I can't stop, I wonder
I wanna know, have you ever seen the rain
I wanna know, have you ever seen the rain
Coming down, down this day
I wanna know, have you ever seen the rain
I wanna know, have you ever seen the rain
Coming down, down on a sunny day
I wanna know
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venerdì 11 dicembre 2009
Pause
Capita di sedersi da una parte, di mettersi lì mentre dovresti essere altrove, dovresti dire-fare-pensare ad altro. Invece no, ti siedi, ti fermi e resti lì. Guardi la gente che passa, la signora con in una mano il guinzaglio del cane che la trascina e nell'altra i sacchetti per pulire dietro al cane. Il signore in giacca e cravatta con il chihuahua al guinzaglio, è alto, grande, quel signore, il cane sembra un incidente incongruente accanto a lui. Guardi i bambini che vanno a scuola, sono di venti paesi diversi e tutti si insultano in romanesco, si muovono a colpi di "aho" e "mo che voi da me". Hanno vestiti simili, ma ognuno riflette il luogo di origine familiare, un dettaglio, una luce negli occhi di un colore appena diverso.
Scorrono le auto, una dopo l'altra, a momenti ferme con i paraurti attaccati. Scorrono, con i passeggeri abbrutiti del mattino, pieni di auricolari e parole che puoi solo intuire. Vanno. Dove vanno? Su qualcuno ti viene su una storia. Quella donna giovane e bella, perfettamente truccata, perfettamente vestita, parla concitata al telefono, la bocca le si piega in un pianto trattenuto. E tu immagini una conversazione d'amore, un dialogo con un uomo che non è il legittimo compagno, che esiste, perché lei ha un anello da moglie al dito dal quale il sole ha appena tratto un riflesso. Parla nel traffico fermo e una lacrima le riga una guancia mentre chiude il telefono. Forse lui è stanco di aspettare una sua decisione. Così la testa va alle decisioni che tu dovresti prendere, quelle che non vogliono essere prese, quelle che sai che dovrai prendere se vuoi ritrovare un sorriso. Quelle decisioni che solo nelle pause ti permetti di pensare, quelle cose che, se tanto non le decidi, poi si decidono da sole, quando meno te lo aspetti.
Sei in pausa, il fare non è di adesso, solo l'osservare appartiene all'istante. Passa il tram, passa l'autobus, il traffico si dirada e sei in ritardo, te che sei sempre puntuale, te che non vuoi mai perdere un colpo. Oggi perdi, oggi sei in pausa, oggi al diavolo il mondo, tu sei seduta lì e il resto non conta.
Scorrono le auto, una dopo l'altra, a momenti ferme con i paraurti attaccati. Scorrono, con i passeggeri abbrutiti del mattino, pieni di auricolari e parole che puoi solo intuire. Vanno. Dove vanno? Su qualcuno ti viene su una storia. Quella donna giovane e bella, perfettamente truccata, perfettamente vestita, parla concitata al telefono, la bocca le si piega in un pianto trattenuto. E tu immagini una conversazione d'amore, un dialogo con un uomo che non è il legittimo compagno, che esiste, perché lei ha un anello da moglie al dito dal quale il sole ha appena tratto un riflesso. Parla nel traffico fermo e una lacrima le riga una guancia mentre chiude il telefono. Forse lui è stanco di aspettare una sua decisione. Così la testa va alle decisioni che tu dovresti prendere, quelle che non vogliono essere prese, quelle che sai che dovrai prendere se vuoi ritrovare un sorriso. Quelle decisioni che solo nelle pause ti permetti di pensare, quelle cose che, se tanto non le decidi, poi si decidono da sole, quando meno te lo aspetti.
Sei in pausa, il fare non è di adesso, solo l'osservare appartiene all'istante. Passa il tram, passa l'autobus, il traffico si dirada e sei in ritardo, te che sei sempre puntuale, te che non vuoi mai perdere un colpo. Oggi perdi, oggi sei in pausa, oggi al diavolo il mondo, tu sei seduta lì e il resto non conta.
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giovedì 10 dicembre 2009
domenica 6 dicembre 2009
Periodi
In uno di quei biscotti della fortuna che ti danno ai ristoranti cinesi, una volta mi è capitata una frase che non ho mai più scordato: "Non è la mancanza di ricchezza ad essere dolorosa, lo è la mancanza di condivisione". E' in nome di quel biscotto che scrivo.
E' questo un periodo, di caos interiore. Le parole non sgorgano ordinate perché non vi è ordine alcuno. Non esistono isole stabili, punti fermi o ciambelle di salvataggio. L'anima vortica in un caos vagamente lisergico e le parole la seguono. Un periodo in cui il mio senso di estraneamento al mondo che mi circonda è sempre più forte. Vivendo sola, poi, non ho modo la sera, quando il ritmo si quieta e il fiume della giornata scorre placido, di vivere un momento di confronto che, potrebbe, ricondurmi negli argini del "normale". La sera torno a casa, dopo una giornata intensa, mi guardo intorno e c'è solo il rumore del tram. Anche la sera, come la giornata, diventa autoreferenziale. Detta altrimenti: te la canti e te la suoni tutta per conto tuo.
E' questo il pericolo maggiore della solitudine. Quel cantare e suonare dentro una sola testa, senza mai uscire fuori nel mondo reale, senza quel confronto quotidiano con qualcuno che ti riporta nei limiti. Ascolti solo una campana, una sola versione di ogni storia: la tua.
Va be' dirà qualcuno, ma durante il giorno passi un sacco di tempo in mezzo alla gente, a parlare, interagire, fare. Questo è quel che succede sul lavoro. Ma là non è mai un interagire rilassato. Non esiste un ambiente di lavoro in cui puoi serenamente dire quello che pensi, in cui puoi liberamente essere te stessa. Se così fosse avrei forse messo la mia foto e il mio nome su questo blog. No sul lavoro indossi l'abito da lavoro e fai le tue cazzate in versione specifica ed adatta al luogo. Ci passi spesso ben più di otto ore in quel luogo del fare. Quel che resta del giorno è pieno dei piccoli doveri della sopravvivenza: fare la spesa, pagare conti, sistemare cose. Restano una manciata di ore che sono tue, che dovrebbero servirti a riconquistare la sanità mentale. E allora te le inventi tutte, dal comprarti la moto nuova, all'andare in palestra, al porgere la spalla a chi è nei guai.... In cambio hai spesso grandi dichiarazioni di amore, di stima e affetto. Eppure quell'assenza di condivisione quotidiana resta. Ogni giorno ti alzi e dici: passerà, è solo un periodo un po' di merda. Riparti e continui inventando schemi nuovi, ristrutturando o elminando i vecchi. Ti senti come se camminassi sulla gomma piuma, con un vago ma persistente senso di irrealtà. A pensarci bene, questo è un periodo in cui mi sembra di essere ad una di quelle serate mondane, anche piuttosto trendy e fighette, in cui vaghi con un bicchiere in mano scambiando poche parole qua e là, in cui ti si fanno e fai complimenti, in cui hai l'aria di avere uno scopo, di star magari cercando qualcuno o che qualcuno ti cerchi per dirti qualcosa di rilevante, in cui, però, dentro di te, passi il tempo a chiederti: ma che sto facendo io qui?
E' questo un periodo, di caos interiore. Le parole non sgorgano ordinate perché non vi è ordine alcuno. Non esistono isole stabili, punti fermi o ciambelle di salvataggio. L'anima vortica in un caos vagamente lisergico e le parole la seguono. Un periodo in cui il mio senso di estraneamento al mondo che mi circonda è sempre più forte. Vivendo sola, poi, non ho modo la sera, quando il ritmo si quieta e il fiume della giornata scorre placido, di vivere un momento di confronto che, potrebbe, ricondurmi negli argini del "normale". La sera torno a casa, dopo una giornata intensa, mi guardo intorno e c'è solo il rumore del tram. Anche la sera, come la giornata, diventa autoreferenziale. Detta altrimenti: te la canti e te la suoni tutta per conto tuo.
E' questo il pericolo maggiore della solitudine. Quel cantare e suonare dentro una sola testa, senza mai uscire fuori nel mondo reale, senza quel confronto quotidiano con qualcuno che ti riporta nei limiti. Ascolti solo una campana, una sola versione di ogni storia: la tua.
Va be' dirà qualcuno, ma durante il giorno passi un sacco di tempo in mezzo alla gente, a parlare, interagire, fare. Questo è quel che succede sul lavoro. Ma là non è mai un interagire rilassato. Non esiste un ambiente di lavoro in cui puoi serenamente dire quello che pensi, in cui puoi liberamente essere te stessa. Se così fosse avrei forse messo la mia foto e il mio nome su questo blog. No sul lavoro indossi l'abito da lavoro e fai le tue cazzate in versione specifica ed adatta al luogo. Ci passi spesso ben più di otto ore in quel luogo del fare. Quel che resta del giorno è pieno dei piccoli doveri della sopravvivenza: fare la spesa, pagare conti, sistemare cose. Restano una manciata di ore che sono tue, che dovrebbero servirti a riconquistare la sanità mentale. E allora te le inventi tutte, dal comprarti la moto nuova, all'andare in palestra, al porgere la spalla a chi è nei guai.... In cambio hai spesso grandi dichiarazioni di amore, di stima e affetto. Eppure quell'assenza di condivisione quotidiana resta. Ogni giorno ti alzi e dici: passerà, è solo un periodo un po' di merda. Riparti e continui inventando schemi nuovi, ristrutturando o elminando i vecchi. Ti senti come se camminassi sulla gomma piuma, con un vago ma persistente senso di irrealtà. A pensarci bene, questo è un periodo in cui mi sembra di essere ad una di quelle serate mondane, anche piuttosto trendy e fighette, in cui vaghi con un bicchiere in mano scambiando poche parole qua e là, in cui ti si fanno e fai complimenti, in cui hai l'aria di avere uno scopo, di star magari cercando qualcuno o che qualcuno ti cerchi per dirti qualcosa di rilevante, in cui, però, dentro di te, passi il tempo a chiederti: ma che sto facendo io qui?
Nuvole... Esisto senza che io lo sappia e morirò senza che io lo voglia. Sono l'intervallo tra ciò che sono e ciò che non sono, fra quanto sogno di essere e quanto la mia vita mi ha fatto essere, la media astratta e carnale fra cose che non sono niente, più il niente di me stesso. Nuvole... Che inquietudine se sento, che disagio se penso, che inutilità se voglio!
(Fernando Pessoa, "Il libro dell'inquietudine")
(Fernando Pessoa, "Il libro dell'inquietudine")
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martedì 1 dicembre 2009
Mi sono innamorata....
Lui si chiama Beverly (500cc), non è un ragazzino di primo pelo, ha già 20mila km sulle spalle, ma si sa, a me gli sbarbatelli non sono mai piaciuti. Oggi ci siamo fidanzati ufficialmente, ma era già un po' che ci facevamo la corte. Anche se con gran dolore ho detto addio al mio compagno degli ultimi 10 anni, avevamo 60mila km fatti insieme e tante avventure. Lo regalo, il mio vecchio mulo, l'ho lasciato al concessionario e vediamo se potrà fare felice qualcun altro almeno come ha felicitato me.
Così è iniziata una nuova avventura. Stamattina, sotto la pioggia romana, nel traffico terrificante del mattino, ho avuto la conferma: io e beverly ci amiamo davvero.
Ps. Beverly pare significhi "beaver stream": ruscello dei castori... bellissimo
Così è iniziata una nuova avventura. Stamattina, sotto la pioggia romana, nel traffico terrificante del mattino, ho avuto la conferma: io e beverly ci amiamo davvero.
Ps. Beverly pare significhi "beaver stream": ruscello dei castori... bellissimo
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