Me la chiacchieravo l'altro giorno con il mio amico gillipixel, come sempre si scivolava tra il filosofico e il cazzeggio da bar dello sport, oscillando poeticamente tra i massimi sistemi e la terra di nessuno delle battutacce da terza media (regrediamo ad un'adolescenza tardiva con un certo gusto). In questo chiacchierare si è finiti a parlare di solitudine e di rapporti tra uomini e donne, quasi inevitabile essendo due single, ci si interroga sul perché e il per come si arriva ad una certa condizione, in fondo si cercano spunti di evoluzione interiore un po' in tutte le cose (dicesi anche seghe mentali, ma solo secondo alcuni materialisti storici decisamente prosaici).
Dal mio punto di vista, sul piano affettivo, ho (con una certa frequenza) come la sensazione di non poter essere reale per nessuno, mi è capitato anche che qualcuno sia arrivato a dichiararmi desiderio e persino amore, ma che se mai dovesse avvicinarsi troppo a me finirebbe con il perdersi... Di solito penso "eh la madonna! che mi sono messa addosso oggi?" però ricontrollando l'abbigliamento, la pettinatura e l'eventuale trucco, non trovo niente di strano e devo indagare meglio. Gilly mi ha dato uno spunto interessante dicendo "credo che voi donne abbiate un'energia troppo forte a volte, per un uomo". Così mi sono venuti in mente due fattori relativamente a questa dinamica del desiderare, cercare e poi allontanarsi. Da un lato c'è la paura di vivere che attanaglia un po' tutti, quel temere che un desiderio si realizzi, una sorta di timore del successo. Dall'altra c'è il sentire che quell'energia che l'altro ti propone ha in sé un qualcosa di distruttivo, di non chiaro, come se davanti avessi sì una specie di angelo, ma più luciferino che angelico. Certo possono essere proiezioni nostre sull'altro, ma la cosa è irrilevante, perché ciò che conta è la nostra percezione dell'altro. In questi casi è sacrosanto allontanarsi. Lo so sarebbe meglio e più sano smettere di trattare l'altro come se fosse un sogno o un'allucinazione per poterlo amare, riportarlo su di un piano di realtà. Io lo so vaglielo a dire a quelli che incontro ... (e qui si potrebbe aprire una lunghissima parentesi sul perché li incontro così e sulle mie responsabilità in merito, ma oggi vado su altre linee e chissenefrega della psicoanalisi e del raziocinio)
Così chiacchierando e ri-chiacchierando è venuto fuori l'intermezzo poetico, una serie di immagini hanno cominciato a formarsi.
Ogni stadio di relazione ha una sua qualità di energia, all'inizio c'è il vento, arriva quella persona nella tua vita nebbiosa e il vento spazza via la nebbia, ti sembra che il sole splenda di nuovo, che sia tornata la luce. Il tempo che trascorri insieme, qualunque cosa si faccia, lavorare, cazzeggiare, parlare piangere e persino litigare, ti ricarica le batterie, ti ridà il sorriso in mezzo ai guai quotidiani.
Poi c'è il fuoco. E lì a volte si fugge perché si teme di essere distrutti da quel fuoco, da quell'ardere interno che non si riesce a controllare e a gestire (ormoni dicono i soliti materialisti storici, ma oggi qui siamo poetici, quindi zitti lì!). Se si riesce a entrarci in quella vampa, a viverla lasciandosi anche travolgere, lasciando che il cervello se ne vada in pappa, permettendo a tutte le scemenze da baci perugina di uscire senza giudicarle né imbarazzarsi, allora poi arriva l'acqua che scorre, fresca, limpida. Si scivola insieme, si scorre nel fiume, nuotando e lasciandosi trasportare dalla corrente, si scavallano rapide e ci si crogiola nelle pozze tranquille, si vive e basta. Ad un certo punto si approda e allora c'è la terra. Molti lì si fermano, non trovano più interessante quanto accade, hanno bisogno dell'adrenalina e non apprezzano le soste, gli approdi. Ma se si riesce a entrare in quella, allora davvero fai qualcosa di speciale, puoi piantare i tuoi semi e raccogliere, goderti il grano, le fragole e tutte le verdure di stagione, preparare torte e primi piatti, godere della pienezza del tempo e della quiete comune.
Il tempo passa e un giorno, inevitabilmente e come è giusto che sia, arriva l'inverno. La terra si indurisce, diventa fredda e nulla cresce più. Ma è solo per un po' non per sempre. Se non hai paura, se sai aspettare, torna la primavera, e tutto ricomincia.
8 commenti:
onorato di esser stato citato, Farly :-) grazie...la metafora degli elementi è molto bella, e raccontata con grande tenerezza...mi piace...anche quel tocco di malinconia che inevitabilmente comporta: fa parte del gioco, non ci si può fare nulla :-)
eeh eeh c'è poco da fare sta volta fosti fonte d'ispirazione ;-) e comunque la morale è che vale sempre la pena di giocare al gioco della vita :-)
un'altra riflessione che mi ha suscitato questo scritto farlocchino: l'elemento apparentemente più banale ed umile, la terra, è anche quello più insidioso, quello sul quale cadono in molti...ma 'sta vita è fatta solo di paradossi? :-)
maggisha dice blogspot, suggerendo non a caso la saggezza secolare di affetti stagionali amministrati con coltivazione a maggese :-)
perché paradossi? ogni cosa contiene il suo contrario è questo che da energia al vivere, se pensi quanto impari e quanto ci si può rafforzare attraversando esperienze dolorose... ach sulla coltivazione a maggese sono ignorante come una zucca... tanto per restare in tema agricolo :-)
la cosa più grave è che nemmeno io lo sapevo cos'era di preciso :-)
mi son dovuto affidare a mastro Wikipedio :-) e..però...sai che a leggerlo nell'ottica dei rapporti affettivi, dà veramente spunti metaforici simpatici? :-)
Dice agri-wiki:
Il maggese è la parte di un campo lasciato a riposo o a pascolo, senza alcuna coltivazione.
Il maggese rappresenta un'annata di "riposo" del terreno con lavorazioni periodiche capaci di tenerlo pulito da erbe infestanti e contemporaneamente mosso in superficie. La sua forma più classica prevede quattro lavorazioni del terreno (arature) che si susseguono, distanziate di circa 45 giorni, da marzo fino ad agosto, e possiedono profondità variabile: molto leggera l'ultima e più profonde invece la prima e la terza.
Dalla raccolta della coltura precedente sino alla prima lavorazione nasce e si sviluppa durante l'autunno-inverno una vegetazione spontanea la cui produzione di erba può esser sfruttata per l'alimentazione animale.
Gli effetti del maggese sono vari:
limitazione delle perdite di umidità per evaporazione;
mineralizzazione della materia organica;
contrasto efficace alle erbe infestanti.
bellissima metafora! ecco facciamo che siamo a maggese in questo momento :-)
è necessario sapere aspettare
sì ed è la cosa più difficile :-)
Posta un commento