mercoledì 25 giugno 2008
Balada de la nostalgia inseparable
Siempre esta nostalgia, esta inseparable
nostalgia que todo lo aleja y lo cambia.
Dímelo tú, árbol.
Te miro. Me miras. Y no eres ya el mismo.
ni el mismo viento quien te está azotando.
Dímelo tú, agua.
Te bebo. Me bebes. Y no eres la misma.
Ni es la misma tierra la de tu garganta.
Dímelo tú, tierra.
Te tengo. Me tienes. Y no eres la misma.
Ni es el mismo sueño de amor quien te llena.
Dímelo tú, sueño.
Te tomo. Me tomas. Y no eres ya el mismo.
Ni es la misma estrella quien te está durmiendo.
Dímelo tú, estrella.
Te llamo. Me llamas. Y no eres la misma.
Ni es la misma la noche clara quien te quema.
Dímelo tú, noche.
RAFAEL ALBERTI
giovedì 19 giugno 2008
La boa dei sei mesi
C'è un momento importante nell'elaborazione di qualsiasi lutto, il momento in cui si comincia davvero ad alzare la testa, il dolore alla bocca dello stomaco comincia a diradarsi, a perdere d'intensità, le lacrime si fanno solo occasionali e piano piano l'anima si apre. Di solito questo momento si verifica dopo circa sei mesi dall'evento luttuoso.
Bisogna notare che di solito l'abbandonato/a, appena diventa tale, tende a sviluppare delle spine che quelle di un saguaro sono rade al confronto, la pelle, seppur apparentemente liscia e vellutata, si copre di impenetrabili (spirituali) spine pungentissime. L'abbandonato diventa respingente, chi si avvicina e fa il carino/a viene immediatamente respinto con ogni sorta di argomentazione.
Parlare all'abbandonato/a di nuove amicizie è sostanzialmente inutile "vieni che ti presento Tizio o Caia" è cosa superflua, fosse pure Adone o Venere con il cervello di un illuminato Zen, verrà trovato sostanzialmente disgustoso. La ferita aperta duole troppo e qualunque rapporto nuovo richiede un mettersi in gioco che è fisiologicamente impossibile per il/la convalescente.
Bisogna notare che di solito l'abbandonato/a, appena diventa tale, tende a sviluppare delle spine che quelle di un saguaro sono rade al confronto, la pelle, seppur apparentemente liscia e vellutata, si copre di impenetrabili (spirituali) spine pungentissime. L'abbandonato diventa respingente, chi si avvicina e fa il carino/a viene immediatamente respinto con ogni sorta di argomentazione.
Parlare all'abbandonato/a di nuove amicizie è sostanzialmente inutile "vieni che ti presento Tizio o Caia" è cosa superflua, fosse pure Adone o Venere con il cervello di un illuminato Zen, verrà trovato sostanzialmente disgustoso. La ferita aperta duole troppo e qualunque rapporto nuovo richiede un mettersi in gioco che è fisiologicamente impossibile per il/la convalescente.
Ma arrivano i fatidici sei mesi, se il soggetto è passato già per qualche lutto, ci spera, ci conta, attende fiducioso/a quel momento magico in cui riuscirà a condurre una conversazione normale e magari anche affettuosa ed ammiccante con qualcuno. Attende e ci lavora. Tutte le mattine si sveglia e cerca di ricordare qualche orrido difetto del fuggiasco/a, tutte le mattine davanti al caffè, quando compare l'immagine di "noi due a fare colazione", furiosamente invoca immagini fastidiose dell'altro. Quando prepara da mangiare si ostina a cucinare solo cose che all'altro facevano sostanzialmente schifo, va a vedere tutti i film che l'altro non avrebbe mai voluto vedere e così via. Ci lavora e spera.
Poi arriva la boa, la giri senza neanche pensarci, e, come per miracolo, stai di nuovo su con la testa. Un giorno cominci a chiacchierare con uno sconosciuto/a, quello ti fa un complimento e invece di morderlo, sorridi e sbatti le ciglia (o gonfi il pettorale, equivalente maschile dello sbattimento di ciglia), fai una battutina scema e ti rilassi godendoti il gioco. C'è di nuovo un senso di leggerezza in ciò che fai, ti senti un po' come la figura del Matto di certi mazzi di tarocchi, pronto a passeggiare sul bordo di un precipizio.... Guardi il calendario e ti rendi conto... 'azz sono passati sei mesi.
Poi arriva la boa, la giri senza neanche pensarci, e, come per miracolo, stai di nuovo su con la testa. Un giorno cominci a chiacchierare con uno sconosciuto/a, quello ti fa un complimento e invece di morderlo, sorridi e sbatti le ciglia (o gonfi il pettorale, equivalente maschile dello sbattimento di ciglia), fai una battutina scema e ti rilassi godendoti il gioco. C'è di nuovo un senso di leggerezza in ciò che fai, ti senti un po' come la figura del Matto di certi mazzi di tarocchi, pronto a passeggiare sul bordo di un precipizio.... Guardi il calendario e ti rendi conto... 'azz sono passati sei mesi.
lunedì 16 giugno 2008
Ritorno
Rientro e chiudo la finestra.
Mi portano il lume e mi danno la buona notte.
E la mia voce allegra dà la buona notte.
Magari la mia vita fosse sempre questo:
il giorno pieno di sole, o addolcito dalla pioggia,
o tempestoso come se finisse il Mondo,
la sera mite e la gente che passa
guarda con interesse dalla finestra,
l'ultimo sguardo amico alla quiete delle piante,
e poi , chiusa la finestra, il lume acceso,
senza leggere niente, senza pensare a niente, senza neanche dormire,
sentire la vita scorrere in me come un fiume nel suo letto.
E fuori un grande silenzio, come un dio che dorme.
Fernando Pessoa (da Il guardiano di greggi - Poesie di Alberto Caeiro)
venerdì 13 giugno 2008
Canada: la gita
Che cosa fare quando ti danno una mezza giornata libera nel mezzo della British Columbia? Le proposte sono varie, passeggiata lungo il lago, giro per le case vinicole locali oppure per la ridente cittadina. Nessuna della opzioni ufficiali cattura la nostra fantasia, ma per fortuna, abbiamo la macchina!
Data l'immensità dei luoghi ci sembra molto più interessante semplicemente prendere la strada e andare, senza una vera meta, solo andare e guardarsi intorno. La gita è delimitata solo dall'orario, ovvero ad una certa ora giriamo la macchina e torniamo indietro.
Con il Conte al volante ed io come navigatore, imbocchiamo la highway 97 e andiamo verso nord, se ci riusciamo arriviamo alle montagne rocciose, ma è una meta molto ottimistica. Strada facendo incontriamo varie cose interessanti, un gommista che ha completamente ricoperto il negozio di copriborchie ad esempio,
una serie di attrazioni turistiche demenziali che vanno dal castello della foresta incantata in plastica grigia e blu (il Conte si rifiuta di fermare la macchina per farmelo fotografare) ad un motel a forma di castello tutto in onduline rosse
oppure un posto dove per 10dollari canadesi ti fanno passare su di un ponte sospeso su di una cascatella... insomma là dove la natura è magnifica, l'opera dell'uomo lascia un po' a desiderare almeno in termini estetici. Però qualcosa di davvero speciale lo troviamo sulla highway 1 all'ora di pranzo. Da lontano vediamo un tronco di cono alto almeno 10 metri, color ruggine, ci avviciniamo e sopra c'è scritto pub...
Entriamo. La torre di ferro all'interno è rivestita di legno, ci accoglie una ragazza sorridente ed un paio di anziani avventori ciarlieri e di ottimo umore. C'è anche uno spazio esterno con ombrelloni e scoiattoli scorrazzanti. Ci sediamo.
Si pranza in compagnia degli scoiattoli che combattono per le arachidi che un altro avventore ha messo a loro disposizione. Scopriamo che queste torri di ferro, dette burner, servivano in passato per bruciare i residui della lavorazione del legno, ora non è più permesso usarle a causa delle emissioni che producono (il Canada aderisce al protocollo di Kyoto e sono molto attenti alle questioni ambientali), così qui lo hanno trasformato in pub, c'è anche il karaoke la sera volendo....
Si procede tra montagne sempre più alte, fiumi in piena per il disgelo, laghi e laghetti, le case si fanno sempre più rade mano a mano che andiamo verso nord. Tutto è immenso per i nostri standard, anche in termini di bellezza. Comincia a piovere. Qui il tempo cambia ogni 20 minuti.
Verso l'ora in cui dovremmo tornare in dietro siamo vicini al Glacier National park, abbiamo fatto parecchia strada. Vorremmo arrivare almeno all'ingresso del parco, ma ci blocca un ingorgo. Fila di camion e auto ferme in mezzo alle montagne.
Aspettiamo un po', poi guardiamo l'ora. Il Conte tira fuori la sua anima di driver meridionale: fa conversione ad U sulla highway 1. Torniamo indietro tra gli sguardi un po' invidiosi e un po' di rimprovero dei poveracci in fila.
Domani si torna al lavoro.
Data l'immensità dei luoghi ci sembra molto più interessante semplicemente prendere la strada e andare, senza una vera meta, solo andare e guardarsi intorno. La gita è delimitata solo dall'orario, ovvero ad una certa ora giriamo la macchina e torniamo indietro.
Con il Conte al volante ed io come navigatore, imbocchiamo la highway 97 e andiamo verso nord, se ci riusciamo arriviamo alle montagne rocciose, ma è una meta molto ottimistica. Strada facendo incontriamo varie cose interessanti, un gommista che ha completamente ricoperto il negozio di copriborchie ad esempio,
una serie di attrazioni turistiche demenziali che vanno dal castello della foresta incantata in plastica grigia e blu (il Conte si rifiuta di fermare la macchina per farmelo fotografare) ad un motel a forma di castello tutto in onduline rosse
oppure un posto dove per 10dollari canadesi ti fanno passare su di un ponte sospeso su di una cascatella... insomma là dove la natura è magnifica, l'opera dell'uomo lascia un po' a desiderare almeno in termini estetici. Però qualcosa di davvero speciale lo troviamo sulla highway 1 all'ora di pranzo. Da lontano vediamo un tronco di cono alto almeno 10 metri, color ruggine, ci avviciniamo e sopra c'è scritto pub...
Entriamo. La torre di ferro all'interno è rivestita di legno, ci accoglie una ragazza sorridente ed un paio di anziani avventori ciarlieri e di ottimo umore. C'è anche uno spazio esterno con ombrelloni e scoiattoli scorrazzanti. Ci sediamo.
Si pranza in compagnia degli scoiattoli che combattono per le arachidi che un altro avventore ha messo a loro disposizione. Scopriamo che queste torri di ferro, dette burner, servivano in passato per bruciare i residui della lavorazione del legno, ora non è più permesso usarle a causa delle emissioni che producono (il Canada aderisce al protocollo di Kyoto e sono molto attenti alle questioni ambientali), così qui lo hanno trasformato in pub, c'è anche il karaoke la sera volendo....
Si procede tra montagne sempre più alte, fiumi in piena per il disgelo, laghi e laghetti, le case si fanno sempre più rade mano a mano che andiamo verso nord. Tutto è immenso per i nostri standard, anche in termini di bellezza. Comincia a piovere. Qui il tempo cambia ogni 20 minuti.
Verso l'ora in cui dovremmo tornare in dietro siamo vicini al Glacier National park, abbiamo fatto parecchia strada. Vorremmo arrivare almeno all'ingresso del parco, ma ci blocca un ingorgo. Fila di camion e auto ferme in mezzo alle montagne.
Aspettiamo un po', poi guardiamo l'ora. Il Conte tira fuori la sua anima di driver meridionale: fa conversione ad U sulla highway 1. Torniamo indietro tra gli sguardi un po' invidiosi e un po' di rimprovero dei poveracci in fila.
Domani si torna al lavoro.
mercoledì 11 giugno 2008
I canadesi sono gente civile
Come in tutto il mondo occidentale anche qui vige la ghettizzazione-colpevolizzazione del fumatore. In tutto il complesso esistono specifiche zone nelle quali si può fumare, non puoi fumare in giro per i vialetti tra gli edifici, ma solo in appositi gazebi.
Questo sulla carta. Dopo poco che sono arrivata noto che spesso si incontrano persone che fumano, in giro e non nell'apposito gazebo. Io ligia fumo solo nel gazebo, la mia esperienza nord americana è tutta statunitense e quindi sono molto letterale nell'accettare le regole.
Però 'sto fatto non mi va giù, come mai quelli fumano fuori dal gazebo? Così chiedo. "Ma siamo logici, se non c'è nessuno che bisogno c'è di andare al gazebo, l'importante e non dare fastidio a chi non fuma. Ma lei pensa che l'inverno andiamo nei gazebo? Si fuma discosti dalla porta, certo, ma tanto fuori ci siamo solo noi!"
Mi piacciono sempre di più i canadesi.
Torno al lavoro, con gli amici si scambiano due parole ai pasti. Mentre mangio vedo lo Sciatore al telefono, sarà la sua espressione, ma mi corre un brivido lungo la schiena. Dall'Italia sono guai seri, deve tornare, in fretta. Un po' lo aiuto io, ma molto lo aiutano i locali, tutti si fanno in quattro per facilitargli il rientro. Nel primo pomeriggio lo porto all'aeroporto, cambiando un discreto numero di aerei, ce l'ha fatta, può essere a casa entro il giorno dopo. Un abbraccio e buon viaggio.
Sì i canadesi ci piacciono sempre si più.
Questo sulla carta. Dopo poco che sono arrivata noto che spesso si incontrano persone che fumano, in giro e non nell'apposito gazebo. Io ligia fumo solo nel gazebo, la mia esperienza nord americana è tutta statunitense e quindi sono molto letterale nell'accettare le regole.
Però 'sto fatto non mi va giù, come mai quelli fumano fuori dal gazebo? Così chiedo. "Ma siamo logici, se non c'è nessuno che bisogno c'è di andare al gazebo, l'importante e non dare fastidio a chi non fuma. Ma lei pensa che l'inverno andiamo nei gazebo? Si fuma discosti dalla porta, certo, ma tanto fuori ci siamo solo noi!"
Mi piacciono sempre di più i canadesi.
Torno al lavoro, con gli amici si scambiano due parole ai pasti. Mentre mangio vedo lo Sciatore al telefono, sarà la sua espressione, ma mi corre un brivido lungo la schiena. Dall'Italia sono guai seri, deve tornare, in fretta. Un po' lo aiuto io, ma molto lo aiutano i locali, tutti si fanno in quattro per facilitargli il rientro. Nel primo pomeriggio lo porto all'aeroporto, cambiando un discreto numero di aerei, ce l'ha fatta, può essere a casa entro il giorno dopo. Un abbraccio e buon viaggio.
Sì i canadesi ci piacciono sempre si più.
Canada: Destinazione lago Okanagan
La giornata comincia sotto la pioggia battente. Esco alle 7 per recuperare un po' di caffè per me e il Conte che è molto avvilito dall'assenza dei suoi effetti personali, da vero aristocratico non si lamenta, ma comincia ad avere un'espressione triste. Caffè caldo e treccina alla cannella hanno però un effetto vivificante. Incontriamo altri amici italiani al momento della colazione. Si ride e scherza dimenticando le disgrazie fantoziane. Lo Sciatore è quasi chiacchierone, ha dormito talmente tanto che gli si sono lisciate pure un po' di rughe. Ci avviamo a prendere la macchina, un lusso tutto nostro che nessuno ci rimborserà, ma conosciamo il nord america e senza macchina sei perduto quasi ovunque, e poi vogliamo goderci il tragitto tra Vancouver e la città di Kelowna sul lago Okanagan, si prevedono boschi e prati con paesaggi bellissimi (assicura la guida).
Il Conte è il primo a guidare, litiga un po' con il cambio automatico, ma impara subito. Partiamo immettendoci rapidamente sulla highway 1, la transcanadian highway, solo imboccarla mi fa sognare di ore e ore in viaggio attraversando il continente... quanto mi piacerebbe!!
La prima cosa che notiamo è una differenza sostanziale con gli statunitensi: i canadesi hanno macchine molto più piccole. Non incontriamo molti mega-pick up e di suv se ne vedono veramente pochi, mentre si incontrano molte moto, soprattuto Harley Davidson. In particolare incontriamo un gruppetto di Harley con a bordo i tipici vestiti-di-cuoio-nero-da-capo-a-piedi, la cosa interessante è che da alcuni caschi emergono barbe e capelli bianchi.
L'autostrada si snoda tra montagne scure e boschi di conifere, valli strette nelle quali la neve è ancora presente, siamo alla fine del disgelo qui. Dopo la 1 imbocchiamo la 3, strada meno pretenziosa, a "sole" 4 corsie tra le montagne. Conifere, pietre scure, ruscelli, ari-conifere, ari-pietre, qualche prato, dopo 300km le conifere mi hanno stufato. Sosta.
Prendiamo un caffè e mentre mi guardo intorno arrivano rombando le Harley, si levano i caschi e sono tutti, ma proprio tutti abbondantemente sopra i 40, alcune signore guidano la propria moto, altre, in tacchi a spillo, siedono dietro ai loro capellutissimi e panzutissimi compagni. Tutti rigorosamente in cuoio nero e tatuaggi. Mi piacciono molto, mi danno l'idea che nella vita in fondo non esistono stagioni, se una cosa ti piace continui a farla, non importa quanti anni hai.
Continuiamo e dopo un po' ci viene fame, ari-sosta in un posto che non è nemmeno nella guida, Princeton, 4 case e un po' di posti sulla strada per mangiare. Dopo un altro po' il paesaggio comincia a cambiare, si scende, stiamo arrivando nella Okanagan Valley, cominciano i frutteti, le vigne e il paesaggio si apre. Leggendo la guida passiamo diversi posti descritti con toni superlativi, cominciamo a sospettare che l'autore/i della guida siano affetti da inguaribile ottimismo, questi posti sono veramente brutti e vuoti.
Arriviamo sul lago, ci fermiamo incantati. Il lago è grande per i nostri standard, piccolo per quelli canadesi, appena 300km di lunghezza. Imbocchiamo la highway 97 in direzione Kelowna, siamo quasi arrivati. Il posto in cui lavoreremo reclusi o quasi per una settimana è fuori città, in mezzo al nulla. Va bene così, tanto abbiamo la macchina.
Il Conte è il primo a guidare, litiga un po' con il cambio automatico, ma impara subito. Partiamo immettendoci rapidamente sulla highway 1, la transcanadian highway, solo imboccarla mi fa sognare di ore e ore in viaggio attraversando il continente... quanto mi piacerebbe!!
La prima cosa che notiamo è una differenza sostanziale con gli statunitensi: i canadesi hanno macchine molto più piccole. Non incontriamo molti mega-pick up e di suv se ne vedono veramente pochi, mentre si incontrano molte moto, soprattuto Harley Davidson. In particolare incontriamo un gruppetto di Harley con a bordo i tipici vestiti-di-cuoio-nero-da-capo-a-piedi, la cosa interessante è che da alcuni caschi emergono barbe e capelli bianchi.
L'autostrada si snoda tra montagne scure e boschi di conifere, valli strette nelle quali la neve è ancora presente, siamo alla fine del disgelo qui. Dopo la 1 imbocchiamo la 3, strada meno pretenziosa, a "sole" 4 corsie tra le montagne. Conifere, pietre scure, ruscelli, ari-conifere, ari-pietre, qualche prato, dopo 300km le conifere mi hanno stufato. Sosta.
Prendiamo un caffè e mentre mi guardo intorno arrivano rombando le Harley, si levano i caschi e sono tutti, ma proprio tutti abbondantemente sopra i 40, alcune signore guidano la propria moto, altre, in tacchi a spillo, siedono dietro ai loro capellutissimi e panzutissimi compagni. Tutti rigorosamente in cuoio nero e tatuaggi. Mi piacciono molto, mi danno l'idea che nella vita in fondo non esistono stagioni, se una cosa ti piace continui a farla, non importa quanti anni hai.
Continuiamo e dopo un po' ci viene fame, ari-sosta in un posto che non è nemmeno nella guida, Princeton, 4 case e un po' di posti sulla strada per mangiare. Dopo un altro po' il paesaggio comincia a cambiare, si scende, stiamo arrivando nella Okanagan Valley, cominciano i frutteti, le vigne e il paesaggio si apre. Leggendo la guida passiamo diversi posti descritti con toni superlativi, cominciamo a sospettare che l'autore/i della guida siano affetti da inguaribile ottimismo, questi posti sono veramente brutti e vuoti.
Arriviamo sul lago, ci fermiamo incantati. Il lago è grande per i nostri standard, piccolo per quelli canadesi, appena 300km di lunghezza. Imbocchiamo la highway 97 in direzione Kelowna, siamo quasi arrivati. Il posto in cui lavoreremo reclusi o quasi per una settimana è fuori città, in mezzo al nulla. Va bene così, tanto abbiamo la macchina.
martedì 10 giugno 2008
Canada: Vancouver
La nostra giornata a Vancouver inizia con un cielo grigio che non si sa dove voglia andare a parare. Sono le 6 del mattino e grazie al jet lag siamo svegli e pronti all'avventura. La prima cosa è la doccia, la seconda rintracciare lo Sciatore. Lo trovo al primo piano davanti al computer che controlla la posta, ha un'aria serena e felice dovuta alle quasi 12 ore di sonno che si è concesso. Il suo viaggio è stato meno cinematografico del nostro, è incantato dalla gentilezza dei locali, ha preso il bus dall'aeroporto ma essendo senza monete non poteva pagare la corsa, così il conducente gli ha detto di salire lo stesso, in fondo è un ospite. La colazione sarà servita solo alle 8 quindi usciamo subito e andiamo a mangiare. Ci raccontiamo il "come stai" e "che fai" degli ultimi tempi e poi davanti al caffè facciamo piani. Guida alla mano (il Conte e lo Sciatore hanno sempre la guida della città e la leggono pure) cerchiamo di decidere, cominceremo dalla Art Gallery dato che non si capisce se pioverà o meno, se esce il sole però affittiamo le bici. La gallery apre alle 10 fino ad allora occupiamo il tempo camminando verso il mare, la città è bellissima almeno qui downtown, grattacieli di acciaio e vetro ben distanziati tra loro, lasciano penetrare la luce fino alla strada, anzi ce la riflettono evitando l'effetto claustrofobico che si ha a New York. Come in molte città di mare ti trovi le navi praticamente sul marciapiede, l'effetto ci piace molto.
Si fa l'ora e la art gallery vale davvero la pena. Le mostre sia permanenti che temporanee sono molto interessanti, poi fuori pioviggina e lì invece si sta al calduccio. Dopo due ore e mezzo di cultura, acquisti vari dei miei compagni e molti commenti sulle opere, esce il sole... Si vanno a prendere le bici!
Prese le biciclette partiamo alla volta dello Stanley Park. Giro nella natura di circa 8km, rilassati, senza pensieri particolari, ci godiamo la pedalata, un hamburger al salmone (abbastanza cattivo) e io la visione dei life guard (bagnini) che a 10 gradi girano a torso nudo per la spiaggia....
Uscendo dal parco continuiamo il periplo della costa di downtown, la pista ciclabile gira intorno al centro città. Sembra che tutta la città sia in giro a correre, pedalare o pattinare, dormire sul prato e quant'altro si possa fare all'aria aperta. Come in tutti i paesi freddi non appena esce un raggio di sole tutti escono di casa. Pedaliamo verso la nostra prossima meta, Chinatown, quella di Vancouver è una delle più grandi al mondo. La città in sé ha 150anni e i cinesi sono arrivati subito. Vogliamo ciondolare per le strade e vedere un chinese garden che si dice sia molto bello.
Il giardino è bellissimo e mi riempie di malinconia. Penso al passato amore e alla comune passione per cose come questa... per fortuna comincia un allegro cazzeggio collettivo, sulle attività del momento. Dentro di me benedico i miei amici e proseguo la visita.
Parcheggiate le bici percorriamo Pender street, il Conte ed io abbiamo un'insana passione per i negozietti di schifezze made in china e non ne perdiamo uno. Lo Sciatore è vagamente perplesso ma quando troviamo quadretti in 3D raffiguranti ogni genere di soggetti (dagli acquari all'ultima cena) si associa e facciamo progetti su dove collocare le prestigiose opere nelle varie case. Io vorrei comprarmi un pentola (38cm di diametro) per cuocere al vapore, il Conte acquista un porta uovo rosso con rifiniture in oro (pura plastica) per un'amica comune e un completo giacca-cravatta-camicia-orologio di carta (è talmente kitsch da essere bello), lo Sciatore vuole la teiera di ghisa (peserà 3kg almeno). Rinunciamo alla crisi consumistica. Proseguiamo.
Si pedala e si riconsegnano le biciclette, sono quasi 12 ore che siamo in giro, tra jet lag e movimento la stanchezza comincia a prendere il sopravvento. Torniamo all'ostello, lo Sciatore ha ancora un conto in sospeso con il sonno, mentre il Conte ed io ci dedichiamo alla ricerca della sua valigia.
Della valigia non c'è notizia, si sa che è a Londra adesso, ma non si sa se è partita per Vancouver. Il Conte si accerta che la compagnia aerea abbia il nostro itinerario, almeno ha una stanza decente per la notte. Usciamo di nuovo per comprare altri generi tipo calzini. Ne approfitto per fare qualche acquisto per i nipotini e poi andiamo a cena. Siamo talmente stanchi che la conversazione procede a monosillabi e grugniti, ma il bello di essere amici è proprio questo: puoi anche grugnire. Stavolta mangiamo cose buone, magari un po' pesanti (fish and chips, calamari fritti, un po' di pollo e insalata)... trasciniamo i piedi verso l'ostello mentre intorno a noi infuria il sabato sera dei ragazzini locali, tra disco-pub e peep shows, bar, tacchi alti senza calze+minigonne modello tonsille al vento, canottiere e un freddo che si capisce che sono geneticamente modificati rispetto a noi. Il giorno dopo ci aspetta la macchina in affitto, un viaggio di almeno 500km per la destinazione finale e il lavoro.
Però siamo soddisfatti, Vancouver ci è piaciuta moltissima.
lunedì 9 giugno 2008
Canada: il viaggio
A volte la fortuna sorride, si parte. Si parte per lavoro ma in realtà è una mezza festa. Intanto la compagnia non è costituita da colleghi ma da amici, che incidentalmente sono anche colleghi, poi il posto: Canada, ad ovest. Vicino Vancouver dicono, ma in realtà sono 500 km da Vancouver. Non importa, in Canada non ci sono mai andata e non vedo l'ora.
Si parte, si sa che il viaggio sarà un po' lungo, anzi, eterno, che c'è il problema della nicotina che potrebbe portarmi all'omicidio, ma chissenefrega si va. Mi munisco di gomme alla nicotina, tintura di tiglio e false sigarette per simulare il gesto.
A Roma ci si trova per prendere l'aereo per Londra, da lì si va a Vancouver. Il primo degli amici, il Conte, viene dal sud, l'altro, lo Sciatore, viene da nord e poi a Kelowna, destinazione finale, ci troveremo con altri ancora che vengono da mezza Italia e da mezzo mondo. Da Roma partiamo in ritardo, sul solito aereo carro-bestiame stracolmo. Per non perdere la coincidenza, ad Heatrow veniamo prelevati da due soldatesse della compagnia aerea che ci catapultano sul volo successivo, preghiamo che i bagagli ci seguano.
Inizia il delirio: l'aereo è stracolmo, bambini urlanti ovunque e non funziona nemmeno il sistema di entertaiment di bordo su cui si contava per avere pace. Non importa sono organizzata, ho da leggere, ho le gomme, ho il tiglio e sono buona come un agnellino anche se sono già 4 ore che non fumo. Il Conte è seduto vicino a me, ci guardiamo preoccupati mentre i bambini seduti dietro di noi ci prendono a calci nella schiena ancora prima del decollo, ma i gadget forniti dalla compagnia hanno tutta la nostra approvazione: mascherina per fare buio, calzini di lana, copertina soffice e calda per la notte, spazzolino da denti con tanto di dentrificio. L'aereo rulla sulla pista, comincia il decollo. Una sostanza non identificata comincia a colarmi in testa dalla cappelliera, non potendomi muovere mi metto la copertina della notte sulla testa e aspetto. A fine decollo, ipotizzando la presenza di un cadavere tagliato a pezzi sopra di noi, chiamiamo la hostess. Arriva un gentile giovanotto per nulla sveglio, che mi guarda con occhio vitreo pensando io sia musulmana e vestita con il chador, chiarisco la mia posizione religiosa ed indico il liquido sospetto e appiccicoso. Nessun cadavere, solo un residuo di bibita abbandonata nella cappelliera al volo precedente.
I capelli sono collosi come mi fossi messa il gel, li lego e apriamo gli appunti di lavoro. Ragioniamo di questo e di quello ma quando mi arriva un oggetto in testa dal sedile di dietro, mi alzo e chiedo pietà... "It's just a child!" (è solo una bambina) mi risponde la madre della piccola iena con ballo di san vito che mi siede alle spalle, "I know that" (lo so) rispondo e miracolosamente abbiamo un po' di pace. Mentre ridiamo definendomi un mostro senza cuore, arriva il primo pranzo. Tra spuntini, pennicchelle e calci dei bambini trascorrono le interminabili 9 ore e 30 che ci separano da Vancouver.
I canadesi sono molto più rilassati degli statunitensi, il controllo all'ingresso nel paese è accurato ma non paranoico, quindi si svolge rapidamente. Sono gentilissimi ed efficienti, al punto di chiamare il Conte prima del ritiro bagagli per comunicargli che la sua valigia non c'è, sanno dov'è, è a Roma e arriverà, gli danno anche una carta di credito prepagata con 50euro di risarcimento, così può comprarsi ciò di cui ha immediatamente bisogno. Forniamo ogni genere di dettaglio sul nostro itinerario, lasciamo email e numeri di telefono di entrambi e finalmente usciamo dall'aeroporto. Fa freddo, accendo una sigaretta e sorrido.
Optiamo per un taxi, siamo troppo intronati dal fuso per azzardare un autobus, sono le 20 ora locale, in Italia sono le 5 di mattina del giorno dopo.
Vancouver ci appare bella, incassata tra le montagne e il mare, dall'aeroporto sembra un po' Isernia, ma è molto più bella. Abbiamo un giorno e mezzo davanti a noi per vederla. Dato che questo giorno e mezzo è a nostre spese abbiamo scelto di alloggiare in un ostello situato nel centro della città a Granville street, là abbiamo appuntamento con il terzo membro della compagnia che dovrebbe essere già arrivato.
All'ostello tutto a posto o quasi, la stanza del Conte non è disponibile per un disguido, ma loro lo sistemano, gratis, in una stanza a parte "a little noisy, it's next to the bar" (è un po' rumorosa, è vicino al bar) dicono alla reception... Il Conte è sospettoso ... una stanza gratis... uhmmm "Be' tanto ho i tappi per le orecchie" dice. La mia stanza invece va bene, ha ben tre letti e così offro ospitalità in caso di eccessivo rumore. Partiamo alla caccia di mutande e magliette, lo Sciatore è arrivato e già dorme. Facciamo acquisti, ceniamo e stremati andiamo a dormire, o almeno si spera.
Cado in catalessi dopo 5 minuti, non mi sono nemmeno lavata la colla dai capelli tanto sono stanca, ma dopo poco bussano alla porta. E' il Conte, affranto, i suoi tappi non riescono a fermare la potenza dei bassi del bar-discoteca. Alle 23:00 finalmente crolliamo sui rispettivi letti.
Continuo a pensare ai film di Fantozzi.
Si parte, si sa che il viaggio sarà un po' lungo, anzi, eterno, che c'è il problema della nicotina che potrebbe portarmi all'omicidio, ma chissenefrega si va. Mi munisco di gomme alla nicotina, tintura di tiglio e false sigarette per simulare il gesto.
A Roma ci si trova per prendere l'aereo per Londra, da lì si va a Vancouver. Il primo degli amici, il Conte, viene dal sud, l'altro, lo Sciatore, viene da nord e poi a Kelowna, destinazione finale, ci troveremo con altri ancora che vengono da mezza Italia e da mezzo mondo. Da Roma partiamo in ritardo, sul solito aereo carro-bestiame stracolmo. Per non perdere la coincidenza, ad Heatrow veniamo prelevati da due soldatesse della compagnia aerea che ci catapultano sul volo successivo, preghiamo che i bagagli ci seguano.
Inizia il delirio: l'aereo è stracolmo, bambini urlanti ovunque e non funziona nemmeno il sistema di entertaiment di bordo su cui si contava per avere pace. Non importa sono organizzata, ho da leggere, ho le gomme, ho il tiglio e sono buona come un agnellino anche se sono già 4 ore che non fumo. Il Conte è seduto vicino a me, ci guardiamo preoccupati mentre i bambini seduti dietro di noi ci prendono a calci nella schiena ancora prima del decollo, ma i gadget forniti dalla compagnia hanno tutta la nostra approvazione: mascherina per fare buio, calzini di lana, copertina soffice e calda per la notte, spazzolino da denti con tanto di dentrificio. L'aereo rulla sulla pista, comincia il decollo. Una sostanza non identificata comincia a colarmi in testa dalla cappelliera, non potendomi muovere mi metto la copertina della notte sulla testa e aspetto. A fine decollo, ipotizzando la presenza di un cadavere tagliato a pezzi sopra di noi, chiamiamo la hostess. Arriva un gentile giovanotto per nulla sveglio, che mi guarda con occhio vitreo pensando io sia musulmana e vestita con il chador, chiarisco la mia posizione religiosa ed indico il liquido sospetto e appiccicoso. Nessun cadavere, solo un residuo di bibita abbandonata nella cappelliera al volo precedente.
I capelli sono collosi come mi fossi messa il gel, li lego e apriamo gli appunti di lavoro. Ragioniamo di questo e di quello ma quando mi arriva un oggetto in testa dal sedile di dietro, mi alzo e chiedo pietà... "It's just a child!" (è solo una bambina) mi risponde la madre della piccola iena con ballo di san vito che mi siede alle spalle, "I know that" (lo so) rispondo e miracolosamente abbiamo un po' di pace. Mentre ridiamo definendomi un mostro senza cuore, arriva il primo pranzo. Tra spuntini, pennicchelle e calci dei bambini trascorrono le interminabili 9 ore e 30 che ci separano da Vancouver.
I canadesi sono molto più rilassati degli statunitensi, il controllo all'ingresso nel paese è accurato ma non paranoico, quindi si svolge rapidamente. Sono gentilissimi ed efficienti, al punto di chiamare il Conte prima del ritiro bagagli per comunicargli che la sua valigia non c'è, sanno dov'è, è a Roma e arriverà, gli danno anche una carta di credito prepagata con 50euro di risarcimento, così può comprarsi ciò di cui ha immediatamente bisogno. Forniamo ogni genere di dettaglio sul nostro itinerario, lasciamo email e numeri di telefono di entrambi e finalmente usciamo dall'aeroporto. Fa freddo, accendo una sigaretta e sorrido.
Optiamo per un taxi, siamo troppo intronati dal fuso per azzardare un autobus, sono le 20 ora locale, in Italia sono le 5 di mattina del giorno dopo.
Vancouver ci appare bella, incassata tra le montagne e il mare, dall'aeroporto sembra un po' Isernia, ma è molto più bella. Abbiamo un giorno e mezzo davanti a noi per vederla. Dato che questo giorno e mezzo è a nostre spese abbiamo scelto di alloggiare in un ostello situato nel centro della città a Granville street, là abbiamo appuntamento con il terzo membro della compagnia che dovrebbe essere già arrivato.
All'ostello tutto a posto o quasi, la stanza del Conte non è disponibile per un disguido, ma loro lo sistemano, gratis, in una stanza a parte "a little noisy, it's next to the bar" (è un po' rumorosa, è vicino al bar) dicono alla reception... Il Conte è sospettoso ... una stanza gratis... uhmmm "Be' tanto ho i tappi per le orecchie" dice. La mia stanza invece va bene, ha ben tre letti e così offro ospitalità in caso di eccessivo rumore. Partiamo alla caccia di mutande e magliette, lo Sciatore è arrivato e già dorme. Facciamo acquisti, ceniamo e stremati andiamo a dormire, o almeno si spera.
Cado in catalessi dopo 5 minuti, non mi sono nemmeno lavata la colla dai capelli tanto sono stanca, ma dopo poco bussano alla porta. E' il Conte, affranto, i suoi tappi non riescono a fermare la potenza dei bassi del bar-discoteca. Alle 23:00 finalmente crolliamo sui rispettivi letti.
Continuo a pensare ai film di Fantozzi.
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