lunedì 9 giugno 2008

Canada: il viaggio














A volte la fortuna sorride, si parte. Si parte per lavoro ma in realtà è una mezza festa. Intanto la compagnia non è costituita da colleghi ma da amici, che incidentalmente sono anche colleghi, poi il posto: Canada, ad ovest. Vicino Vancouver dicono, ma in realtà sono 500 km da Vancouver. Non importa, in Canada non ci sono mai andata e non vedo l'ora.

Si parte, si sa che il viaggio sarà un po' lungo, anzi, eterno, che c'è il problema della nicotina che potrebbe portarmi all'omicidio, ma chissenefrega si va. Mi munisco di gomme alla nicotina, tintura di tiglio e false sigarette per simulare il gesto.
A Roma ci si trova per prendere l'aereo per Londra, da lì si va a Vancouver. Il primo degli amici, il Conte, viene dal sud, l'altro, lo Sciatore, viene da nord e poi a Kelowna, destinazione finale, ci troveremo con altri ancora che vengono da mezza Italia e da mezzo mondo. Da Roma partiamo in ritardo, sul solito aereo carro-bestiame stracolmo. Per non perdere la coincidenza, ad Heatrow veniamo prelevati da due soldatesse della compagnia aerea che ci catapultano sul volo successivo, preghiamo che i bagagli ci seguano.

Inizia il delirio: l'aereo è stracolmo, bambini urlanti ovunque e non funziona nemmeno il sistema di entertaiment di bordo su cui si contava per avere pace. Non importa sono organizzata, ho da leggere, ho le gomme, ho il tiglio e sono buona come un agnellino anche se sono già 4 ore che non fumo. Il Conte è seduto vicino a me, ci guardiamo preoccupati mentre i bambini seduti dietro di noi ci prendono a calci nella schiena ancora prima del decollo, ma i gadget forniti dalla compagnia hanno tutta la nostra approvazione: mascherina per fare buio, calzini di lana, copertina soffice e calda per la notte, spazzolino da denti con tanto di dentrificio. L'aereo rulla sulla pista, comincia il decollo. Una sostanza non identificata comincia a colarmi in testa dalla cappelliera, non potendomi muovere mi metto la copertina della notte sulla testa e aspetto. A fine decollo, ipotizzando la presenza di un cadavere tagliato a pezzi sopra di noi, chiamiamo la hostess. Arriva un gentile giovanotto per nulla sveglio, che mi guarda con occhio vitreo pensando io sia musulmana e vestita con il chador, chiarisco la mia posizione religiosa ed indico il liquido sospetto e appiccicoso. Nessun cadavere, solo un residuo di bibita abbandonata nella cappelliera al volo precedente.
I capelli sono collosi come mi fossi messa il gel, li lego e apriamo gli appunti di lavoro. Ragioniamo di questo e di quello ma quando mi arriva un oggetto in testa dal sedile di dietro, mi alzo e chiedo pietà... "It's just a child!" (è solo una bambina) mi risponde la madre della piccola iena con ballo di san vito che mi siede alle spalle, "I know that" (lo so) rispondo e miracolosamente abbiamo un po' di pace. Mentre ridiamo definendomi un mostro senza cuore, arriva il primo pranzo. Tra spuntini, pennicchelle e calci dei bambini trascorrono le interminabili 9 ore e 30 che ci separano da Vancouver.


I canadesi sono molto più rilassati degli statunitensi, il controllo all'ingresso nel paese è accurato ma non paranoico, quindi si svolge rapidamente. Sono gentilissimi ed efficienti, al punto di chiamare il Conte prima del ritiro bagagli per comunicargli che la sua valigia non c'è, sanno dov'è, è a Roma e arriverà, gli danno anche una carta di credito prepagata con 50euro di risarcimento, così può comprarsi ciò di cui ha immediatamente bisogno. Forniamo ogni genere di dettaglio sul nostro itinerario, lasciamo email e numeri di telefono di entrambi e finalmente usciamo dall'aeroporto. Fa freddo, accendo una sigaretta e sorrido.



Optiamo per un taxi, siamo troppo intronati dal fuso per azzardare un autobus, sono le 20 ora locale, in Italia sono le 5 di mattina del giorno dopo.
Vancouver ci appare bella, incassata tra le montagne e il mare, dall'aeroporto sembra un po' Isernia, ma è molto più bella. Abbiamo un giorno e mezzo davanti a noi per vederla. Dato che questo giorno e mezzo è a nostre spese abbiamo scelto di alloggiare in un ostello situato nel centro della città a Granville street, là abbiamo appuntamento con il terzo membro della compagnia che dovrebbe essere già arrivato.

All'ostello tutto a posto o quasi, la stanza del Conte non è disponibile per un disguido, ma loro lo sistemano, gratis, in una stanza a parte "a little noisy, it's next to the bar" (è un po' rumorosa, è vicino al bar) dicono alla reception... Il Conte è sospettoso ... una stanza gratis... uhmmm "Be' tanto ho i tappi per le orecchie" dice. La mia stanza invece va bene, ha ben tre letti e così offro ospitalità in caso di eccessivo rumore. Partiamo alla caccia di mutande e magliette, lo Sciatore è arrivato e già dorme. Facciamo acquisti, ceniamo e stremati andiamo a dormire, o almeno si spera.
Cado in catalessi dopo 5 minuti, non mi sono nemmeno lavata la colla dai capelli tanto sono stanca, ma dopo poco bussano alla porta. E' il Conte, affranto, i suoi tappi non riescono a fermare la potenza dei bassi del bar-discoteca. Alle 23:00 finalmente crolliamo sui rispettivi letti.

Continuo a pensare ai film di Fantozzi.

1 commento:

maus ha detto...

non ti lavare i capelli, che quando arrivi ti faccio una foto con i dread...